Giornata mondiale

Libertà di stampa? Il grande equivoco: ecco chi se ne approfitta

Pieremilio Sammarco

Oggi 3 maggio è la giornata mondiale della libertà di stampa. Essa fu proclamata nel 1993 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dietro raccomandazione dell’UNESCO. Lo scopo di questa celebrazione è di evidenziare l’importanza dei principi che fondano la libertà di stampa e di valutare lo stato della libertà di espressione in tutto il mondo. In questa occasione, ogni anno viene conferito il premio Guillermo Cano che vuole onorare persone o organizzazioni che hanno dato un contributo alla difesa e alla promozione della libertà di stampa, in particolare coloro che operano esponendosi a gravi rischi. Senza entrare nella enfatica retorica delle celebrazioni è anche l’occasione utile per eliminare una serie di fastose bardature ideologiche che l’hanno appesantita a dismisura e recuperarne il suo autentico significato.

La libertà di stampa trova il suo presupposto nella manifestazione del pensiero, ma, nel corso degli anni, questa libertà dell’individuo si è trasformata nella libertà delle imprese che si occupano, a vari livelli, di comunicazione. Così la libertà di manifestazione del pensiero viene erroneamente identificata con il mezzo attraverso il quale esso viene diffuso e tale concezione porta ad estendere la libertà non solo all’individuo, ma anche alle imprese e a quanti vi lavorano, attribuendo così una libertà generalizzata che sovente si trasforma in privilegio ed abuso, come nei casi di aggressione verso i diritti della personalità altrui.

 

 

 

E così facendo l’art. 21 della Costituzione che garantisce la libertà di espressione del singolo viene invocato come scudo protettivo per le imprese editoriali e quelle che operano su Internet (ad esempio i social network o i motori di ricerca) che si riparano dietro tale principio per assecondare le lesioni alla reputazione o alla riservatezza altrui. Si è finito dunque per attribuire una estesa libertà a soggetti che svolgono una funzione strumentale alla diffusione del pensiero altrui. Un esempio a riprova? Provate a chiedere a Google di deindicizzare dalla rete un contenuto informativo lesivo. La risposta è che sono impossibilitati perché vi è lo scudo protettivo della libertà di espressione. E così la tutela costituzionale si è spostata dal contenuto al contenitore, cioè il mezzo su cui è veicolata.

Non è solo tutelata l'informazione in sé, ma anche il supporto su cui è fissata o conservata e, per osmosi, anche l'impresa che la distribuisce, il cui fine però non è informativo, ma conseguire un profitto attraverso l’informazione, intesa unicamente come mero prodotto. Di questo passo, dovremo attribuire uguale protezione al postino che la mattina ci consegna una raccomandata. Occorre dunque un controlimite o un argine a tale allargata auto-attribuzione di libertà fondamentali in capo a soggetti che svolgono un’attività economica di impresa strumentale alla manifestazione del pensiero, per recuperare il fine autentico della protezione.