Lavoro, il significato della parole e il senso delle sfumature dialettali
Nell’italiano odierno un’impresa può consistere in un’attività economica (commerciale, industriale, finanziaria) o nell’azienda che la svolge, oppure, in campo araldico, in una divisa in cui un motto si sposa a un’immagine per rappresentare simbolicamente un’azione da intraprendere o un comportamento da seguire. Se consideriamo questo significato della parola impresa, che nel matrimonio fra un’immagine e un motto vede proiettata l’idea di un intendimento o un proposito, un’impresa che si ponesse al servizio di un paese potrebbe essere figurata dal lavoro e scolpita dalla frase Labor servit.
Grazie all’ambiguità di quel servit il lavoro arriva a servire due volte, per scopi diversi: serve a produrre reddito, ricchezza, benessere e una quantità di altre cose; si mette al servizio di chi quel lavoro lo impartisce o lo esegue con cura, impegno o attenzione, e spesso con fatica. Laborioso dice proprio questo, e d’altronde il latino labor, oltreché di lavoro, era sinonimo di sforzo o fastidio, pena o tormento, e trae probabilmente origine da labare, e cioè “barcollare (sotto un peso)”.
Rimarcano la fatica, la durezza, la pesantezza del lavoro due equivalenti dialettali di lavorare: faticare, diffuso un po’ ovunque nel Meridione, e il ligure e piemontese travagliare, attecchito anche nelle isole. Alla base di quest’ultimo c’è il francese travailler, dal latino parlato *trapaliare (‘martirizzare’) da cui discende pure lo spagnolo trabajar. Il verbo latino è un derivato di tripalium (o trepalium), nome di uno strumento di tortura (alla lettera: “tre pali”). Alberto Sordi, in una famosa scena dei Vitelloni (1953), ha aumentato il carico ai danni dei poveri lavoratori. Nel fare il gesto dell’ombrello, fra i più noti e antichi – una chiara allusione fallica, con tanto di “contorno” (l’anulare e l’indice piegati, a rappresentare i testicoli), collegata all’atto apotropaico di “fertilizzazione” contro il malocchio rappresentato da un’erezione digitale –, lo accompagna a una sonora pernacchia destinata a una squadra di operai in strada. Prima li apostrofa così: «Lavoratori...». Poi, rincarando la dose: «Lavoratori della maz za...».