L'intuizione

Vittorio Feltri su Olindo e Rosa: "Innocenti? Lo dico da 16 anni"

Vittorio Feltri

Per noi cronisti il lavoro raramente riserva grandi soddisfazioni. Personalmente, con l’aiuto della fortuna ebbi a capire che Enzo Tortora era innocente. Me ne accorsi compulsando le carte giudiziarie in cui erano riportate le testimonianze fasulle dei cosiddetti pentiti. Scrissi vari articoli in cui dimostravo che il presentatore non poteva essere colpevole, ma ovviamente al momento nessuno mi diede retta benché le mie elucubrazioni fossero pubblicate dal Corriere della Sera, una sorta di Vangelo. Ci vollero anni prima che i giudici napoletani fossero costretti ad assolvere l’imputato.

Oggi siamo davanti a un episodio ancora più stupefacente. Mi riferisco al caso della cosiddetta strage di Erba, avvenuta all’inizio degli anni Duemila, quattro o cinque persone assassinate in casa da un paio di efferatissimi omicidi che tolsero la vita anche a un bimbo di un paio di anni. Il fatto fu sconvolgente, mentre gli investigatori barcollavano. I quali, disperati, a un dato momento non sapendo dove sbattere la testa misero gli occhi, prima, poi le manette su Olindo e Rosa, due poveracci abbastanza imbranati benché miti che abitavano nello stesso edificio dove avvenne la macellazione. Le forze dell’ordine non trovarono lo straccio di una prova contro la coppia: nessuna traccia di sangue, neanche nella lavatrice, nessun movente serio. Ma non importa, utilizzando una vecchia tecnica fatta di promesse e lusinghe, i carabinieri estorsero una confessione poco o punto credibile ai due sposi. Le indagini si sospesero.

 

Tuttavia una delle vittime del massacro, miracolosamente sopravvissuto, prima dichiarò di non aver afatto riconosciuto Olindo quale aggressore, dopo alcuni giorni invece disse che questi era uno dei boia. Fu bevuta la seconda versione  in base a cui, unitamente alle ammissioni estorte in modo rudimentale, marito e moglie vennero sbattuti in prigione dove tuttora si trovano condannati all’ergastolo.

Era evidente che si trattasse di due poveracci sprovveduti, ma i giudici di ogni grado, senza andare per il sottile, non sentirono ragione e inflissero loro il massimo della pena. L’avvocato comasco, che li aveva tutelati alla grande, nel frattempo era morto, e la coppia non ebbe più modo di difendersi efficacemente. Pertanto la morte civile per gli imputati fu fatale.

In tempi molto recenti un paio di legali di buona volontà si sono fatti in quattro per riaprire il caso e ci sono riusciti grazie al sostituto procuratore generale di Milano, Cuno Tarfusser, che dopo aver esaminato con cura ogni documento ha steso una relazione, autentica opera d’arte, nella quale nel chiedere la revisione del giudizio specifica per filo e per segno gli errori commessi dai colleghi che ottennero per Olindo e Rosa la reclusione a vita. Sono convinto che il lavoro certosino compiuto da Tarfusser porterà all’assoluzione, perché è troppo convincente la tesi innocentista che nel mio piccolo avevo pubblicato su Libero la bellezza di sedici anni fa, suscitando la totale indifferenza di ogni commentatore. La cosa sconvolgente è che ci sono voluti sedici anni, un’eternità, per capire che i due poveri cristi non meritavano affatto di essere sepolti vivi. Uno scandalo. Lo sconcerto non mi impedisce di essere contento. Ringrazio comunque il magistrato della Procura generale per essersi impegnato per riaprire la vicenda nella speranza di fare finalmente chiarezza.