Il caso del liceo Carducci

Milano, gli studenti anti-Valditara? Come sono stati puniti

Brunella Bolloli

Già lo sappiamo quello che diranno e scriveranno i sostenitori di quei «poveri studenti» del liceo Carducci di Milano, che in fondo «son ragazzi» e sì, forse, hanno fatto una bravata, ma la punizione inflitta, dieci giorni di sospensione oltre a 18 ore di lavori socialmente utili, è così severa che sembra proprio una «roba da fascisti». Ecco, la scuola italiana adesso è in mano «ai fascisti», dichiareranno, usa «metodi fascisti», con quel ministro Giuseppe Valditara che osa prendersela con dei liceali innocenti e un preside così cattivo che, povera Italia, chissà dove andremo a finire. Ma se riavvolgiamo il nastro e ricordiamo ciò che è accaduto il 4 marzo, il furore ideologico di quei giorni e un polverone mediatico e politico sul mondo della scuola, gestione centrodestra, forse riusciamo meglio a inquadrare la situazione.

I fatti raccontano che il 4 marzo, davanti ai cancelli del liceo classico Giosuè Carducci di Milano, sono apparse le foto a testa in giù del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e del ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara. Con accanto uno striscione in nero con scritta in bianco: «Ma quale merito, la vostra è solo violenza». E il simbolo anarchico come firma dell’opera. La condanna è arrivata subito dagli esponenti del centrodestra, ma anche dal sindaco di Milano, Beppe Sala, mentre i leader di sinistra erano molto impegnati, nelle stesse ore, a sfilare a Firenze per una manifestazione ufficialmente organizzata a difesa proprio della scuola e del merito, in realtà conclusa con i soliti cori anti-governativi e animata pure dagli amici di Alfredo Cospito, l’anarchico per cui i giudici hanno disposto il 41 bis.

A SENSO UNICO
Erano i giorni della vicenda della preside del liceo Michelangiolo, la quale ha ricordato ai ragazzi che la violenza non deve mai prevalere e che girarsi dall’altra parte di fronte a un pestaggio o a un atto, anche minimo, di prevaricazione può innescare una scintilla che diventa abominio, orrore, fascismo. Giusto. Peccato che la dirigente scolastica, forse memore di una sua appartenenza politico-sindacale prima che del suo ruolo di educatrice, nel suo messaggio diventato poi virale ha omesso di condannare la violenza tutta, anche quella commessa dai collettivi, dai rossi che odiano ancora i neri, dalla sinistra che impedisce a uno di destra di volantinare, dagli anarchici, o sedicenti tali, che ritengono normale evocare piazza Loreto con i cartonati di Meloni e Valditara appesi a testa in giù fuori da un istituto.

Ora, la novità è che quella «bravata» è costata cara ai giovani del Carducci, perché dieci giorni di sospensione dalle lezioni non sono pochi e probabilmente nessuno avrebbe immaginato che la sanzione sarebbe arrivata così presto e così rigorosa, mettendo nel mirino il preside Andrea Di Mario che il giorno successivo all’accaduto aveva spiegato molto bene, con una circolare, che «il liceo Carducci è un luogo plurimo, aperto, pacifico e democratico in cui non deve prevalere la logica della curva. Abbiamo ricevuto un danno», aveva scritto il dirigente, «ragazzi, non dimenticate le bestialità nel vicino piazzale Loreto».

DERISI DAI DOCENTI?
Ieri, però, i membri del Collettivo Mille Papaveri rossi, di cui fanno parte alcuni studenti imbrattatori dell’istituto milanese, hanno accusato la scuola di «umiliare» i ragazzi con lavori troppo duri. Sui social hanno spifferato i verbali del Consiglio di istituto, che «non sono ancora consultabili nemmeno ai rappresentanti di classe». Si sono lamentati del fatto che il 22 marzo «una studentessa, durante una delle ore di attività socialmente utili, è stata costretta a trasportare a mano, per due rampe di scale e una discesa, in uno scatolone, più di un centinaio di componenti di vecchi computer. Poi ha dovuto trasportare delle vecchie mattonelle con dei secchi per una discesa non asfaltata e dei sacchi della spazzatura». Circostanza smentita dai bidelli.

Sempre secondo il collettivo, «il 24 marzo gli studenti hanno dovuto dipingere di bianco i muri paralleli alla sede della scuola per coprire scritte e disegni accumulati negli anni e i docenti, di passaggio, avrebbero fatto commenti sarcastici e di presa in giro nei confronti dei giovani «alimentando un clima di umiliazione poco confortevole». Insomma, i ragazzotti ribelli che prima si sono divertiti a profanare i cartonati della Meloni e Valditara con riferimenti a Mussolini, ora ci sono rimasti male perché, smascherati, hanno dovuto rimboccarsi le maniche e fare un po’ di pulizia in classe. Peraltro lavori già programmati da tempo. Interpellato sugli ultimi sviluppi della vicenda, il preside Di Mario si è detto «disgustato. Non intendo rispondere ad accuse anonime, perché di fatto si tratta di questo, visto che il volantino è firmato solo dal collettivo. Ma l’idea dei ragazzi umiliati pubblicamente non sta né in cielo né in terra», ha tagliato corto. «Non ci sono state umiliazioni, non siamo in una scuola della Corea del Nord». La lezione, viste le polemiche, forse è servita.