Il Vaticano: tutto da rivedere

Albina Perri

Roma - Sull’ “Osservatore Romano”, quotidiano ufficiale della Città del Vaticano, compare un articolo che invita a rivedere il concetto di “morte cerebrale” alla luce delle nuove scoperte scientifiche. In un editoriale in prima pagina dedicato ai 40 anni del cosidetto “Rapporto di Harvard”, che modificò la definizione di morte, da allora non più basata sull'arresto cardiocircolatorio, ma sull'encefalogramma piatto, la Chiesa cattolica si trova ora in una situazione delicata perchè l'assunto di “morte cerebrale” - si legge nell'articolo –“entra in contraddizione con il concetto di persona secondo la dottrina cattolica, e quindi con le direttive della Chiesa nei confronti dei casi di coma persistenti”. La definizione di “morte cerebrale” è  oggi rimessa in discussione da nuove ricerche “che mettono in dubbio proprio il fatto che la morte del cervello provochi la disintegrazione del corpo”, osserva Lucetta Scaraffia nel suo editoriale.  Molti neurologi, giuristi e filosofi statunitensi ed europei sono oggi concordi “nel dichiarare che la morte cerebrale non è la morte dell'essere umano”. “Queste considerazioni - si legge nel giornale del Papa - aprono ovviamente nuovi problemi per la Chiesa cattolica, la cui accettazione del prelievo degli organi da pazienti cerebralmente morti, nel quadro di una difesa integrale e assoluta della vita umana, si regge soltanto sulla presunta certezza scientifica che essi siano effettivamente cadaveri”. Inoltre «l'idea che la persona umana cessi di esistere quando il cervello non funziona più, mentre il suo organismo, grazie alla respirazione artificiale, è mantenuto in vita, comporta una identificazione della persona con le sole attività cerebrali, e questo entra in contraddizione con il concetto di persona secondo la dottrina cattolica, e quindi con le direttive della Chiesa nei confronti dei casi di coma persistente”, ammette l'Osservatore Romano. Ancora dibattiti sul testamento biologico e sul confine, spesso sottile, tra l'esercizio dell'autodeterminazione del paziente, che con il testamento biologico deciderebbe in anticipo come disporre della propria vita qualora perdesse le proprie capacità intellettive, e il rischio di eutanasia. Il centro di Bioetica dell'università Cattolica, diretto da Adriano Pessina, si dice favorevole ad un confronto su questo tema ma senza dimenticare che è “necessario tener conto delle volontà del paziente, senza cadere nè nell'eutanasia nè nell'accanimento clinico”. “Passare ad una vera e propria legalizzazione e generalizzazione delle direttive anticipate” rischia, secondo il i bioeticisti cattolici, “di sancire il diritto del cittadino a disporre anticipatamente della propria vita quando non potrà più decidere di sé.”  “Questo”, come conferma il  direttore del Centro di Bioetica della Cattolica, Adriano Pessina, cozza con il dovere della società di “garantire forme di assistenza sociale e medica, proporzionate e adeguate a tutti coloro che non sono grado di provvedere a loro stessi, perché  il venir meno della coscienza non toglie dignità o valore alla vita umana”, e “il principio democratico della non disponibilità della vita alla volontà propria e altrui, che trova conferma nel reato di omicidio di consenziente e di istigazione al suicidio, potrebbe trovare un'adeguata conferma in una legge che ribadisca il valore e la dignità di ogni persona umana anche qualora non possedesse o perdesse la coscienza di sè: una legge che tuteli prima di tutto il diritto alla cura e all'assistenza, confermando il valore della solidarietà e dell'assistenza”, conclude Pessina.