Sabino Cassese, attacco alla magistratura: "Troppo potere, così i pm violano la Costituzione"
È stato uno dei più autorevoli critici del governo giallorosso nonché uno dei primi a denunciare le magagne della magistratura. Oggi vede nel premier Draghi un'occasione per l'Italia e tifa perché il ministro Cartabia riesca nell'impossibile: cambiare in meglio la giustizia e fermare lo strapotere dei pm. Sabino Cassese, giudice emerito della Corte Costituzionale ed eminenza istituzionale italica, accetta di parlare con Libero di quello che non vuol chiamare il tramonto dell'Occidente, «perché in un modo o nell'altro poi le cose vanno avanti, e perché poi non si sarebbe mai visto un tramonto così lungo, visto che questa situazione di impasse dura da oltre trent' anni».
Professore, lei è stato molto critico nei confronti del governo giallorosso: che cosa lo ha fatto cadere davvero a suo avviso?
«L'errata gestione dei rapporti con le Regioni che ha trasformato l'Italia in un Paese ad Arlecchino. L'incertezza dell'indirizzo politico. Le molte parole e i pochi fatti. L'adozione continua di norme incomprensibili. L'imprevidenza (non si poteva partire prima con i vaccini?). L'abuso dei Dpcm. L'accentramento a Palazzo Chigi per non fare».
Cosa è cambiato con Draghi nella lotta alla pandemia e nell'azione di governo?
«Draghi ha un certificato di credibilità internazionale che nessun altro ha in Italia. Guida il governo come può condurlo una persona che conosce la politica e la macchina. Pronuncia poche parole e fa molti fatti. Ha una base parlamentare più ampia. Anche nel governo Draghi ci sono dei "nei", come l'aver adottato un Dpcm, l'aver prorogato l'emergenza, il lasciare che qualche ministro parli troppo per "comunicare", invece che per annunciare decisioni».
Che Italia sta uscendo dalla pandemia? Più abbruttita, più povera, più cinica, più spaventata, come starebbe a testimoniare la tragedia della funivia di Stresa?
«Direi più preoccupata e più provata. Quando si va in auto su una strada difficile, con molte curve, si desidera avere un autista che non abbia preso la patente il giorno prima».
Sarebbe stupito se Draghi prorogasse lo stato d'emergenza, e che cosa significherebbe?
«Sarei stupito. Significherebbe che non si è capito che, passata la fase critica, bisogna ritornare nella norma. Se ritornare alla gestione ordinaria è difficile, vuol dire che le regole della gestione ordinaria sono sbagliate e vanno cambiate. Non si può vivere di deroghe e di eccezioni».
Perché i partiti si sono ridotti in questo stato, completamente privi di autorevolezza e incapaci di qualsiasi decisione?
«Facciamo una diagnosi. Gli iscritti ai partiti oggi sono circa 1/8 di quelli di 70 anni fa. L'offerta politica dei partiti è modestissima: si procede per slogan, non vi sono programmi; e gli slogan cambiano ogni giorno. I partiti hanno perduto la base, non sono più, come prevede l'articolo 49 della Costituzione, associazioni, parte della società civile, ma organi statali».
Non è colpa della nostra Costituzione se la politica è in crisi dal crollo del muro di Berlino?
«La nostra Costituzione manca soltanto di un tassello, anche se molto importante. Uno dei più attivi membri dell'assemblea costituente, Piero Calamandrei, lo indicò chiaramente quando il progetto di Costituzione venne portato dalla commissione dei 75 all'Assemblea costituente: "di questo, che è il fondamentale problema della democrazia, cioè il problema della stabilità del governo, nel progetto non c'è quasi nulla"».
Quali riforme ci servirebbero?
«Basterebbe cominciare con queste due: un meccanismo di stabilizzazione dei governi e una fucina di produzione di classe dirigente».
C'è un deficit di democrazia nel Paese o viceversa c'è un eccesso paralizzante?
«Paradossalmente, tutti e due. Di organizzazioni democratiche ne abbiamo molte: eleggiamo i componenti dei Consigli comunali di ottomila comuni, dei Consigli regionali di venti Regioni, del Parlamento nazionale, del Parlamento europeo. Mancano, invece, gli anelli di congiunzione, il collante: pensi a quello che è successo con la pandemia nei rapporti tra Stato e Regione, ma anche nei rapporti tra le singole Regioni».
Come giudica, anche a livello di democrazia, il fatto che Draghi stia governando quasi disinteressandosi delle istanze dei partiti che lo sostengono?
«Non si sta disinteressando, ne tiene conto, ma mantiene anche l'unità di indirizzo politico del governo, che è il compito principale del presidente del Consiglio dei ministri, secondo la Costituzione, senza farsi sommergere da infiniti negoziati».
Quanto è possibile prorogare il blocco dei licenziamenti e degli sfratti senza ledere la libertà d'impresa e il diritto di proprietà?
«La Costituzione prevede, agli articoli 41,42 e 43, che sia la proprietà, sia l'impresa privata possano essere sottoposte a limiti per raggiungere fini sociali. Tuttavia, se questi limiti diventano troppo pesanti, una specie di espropriazione, lo Stato deve pagare un indennizzo. Quindi, è bene che questi limiti siano quanto più possibile temporanei».
Perché Mattarella, dopo essere rimasto a lungo in silenzio malgrado gli scandali, ha deciso di cambiare linea e dire chiaramente che la giustizia va riformata?
«Non è stato silente. Il problema è quale azione possa intraprendere per porre rimedio a questa critica situazione della magistratura».
Quali sono gli ostacoli che troverà il ministro Cartabia nella sua opera riformatrice e da dove bisognerebbe partire?
«È partita col piede giusto, cercando rimedi alla lunghezza dei processi, perché l'organizzazione e il funzionamento della giustizia sono molto rudimentali. Dovrà poi passare al più spinoso tema delle procure e del Consiglio superiore della magistratura. Qui si scontrerà contro con quel 20 per cento di magistrati che sono addetti alle funzioni investigative e che hanno trasformato gli organi di accusa in un nuovo potere dello Stato».
Nella magistratura è cambiato qualcosa dopo lo scandalo Palamara?
«Quello che è cambiato l'ha indicato molto chiaramente il presidente della Repubblica. Vi è stata una perdita di credibilità della magistratura. Basta vedere i sondaggi. La fiducia degli italiani nella magistratura è diminuita di 40 punti. Consideri, però, anche quest' altro aspetto: la magistratura ha colpito sé stessa con la stessa arma usata per mettere alla gogna cittadini onesti».
Ritiene che il potere della magistratura travalichi in qualche cosa i limiti della Costituzione?
«Bisogna distinguere. Vi sono ottimi giudici che svolgono la loro funzione giudicante e tra questi vi sono anche capi di istituto esemplari che riescono a non far accumulare arretrati. Completamente separata e diversa è la posizione dei procuratori- investigatori. Questi hanno sviluppato un nuovo potere dello Stato, che certamente va oltre il dettato costituzionale. Pensi soltanto a quella norma dell'articolo 111 della Costituzione secondo la quale la persona accusata di un reato è "informata riservatamente della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico". Le pare una norma rispettata?»
Come si spiega la parabola di Davigo, da che non è più giudice non gliene va dritta una: è solo un caso?
«Lascerei da parte i problemi personali, che fanno parte degli epifenomeni, facendo attenzione ai fenomeni. Sia la vicenda Palamara, sia quest' altra della procura milanese hanno attirato l'attenzione per gli aspetti di superficie, mentre hanno rivelato aspetti più profondi e pericolosi, sui quali si dovrebbe concentrare l'attenzione. Un solo esempio: quali poteri ha il capo di una procura? Possono i procuratori muoversi del tutto liberamente, come se fossero giudici giudicanti?»
Se Mattarella fosse rieletto, potrebbe rimanere sette anni?
«La durata delle cariche è un elemento fondamentale della struttura delle democrazie. Pensi soltanto a quella dei poteri politici americani, due, quattro e sei anni, con i membri della Corte Suprema nominati a vita. In Italia la differenziazione delle durate, inizialmente anche quella tra Camera e Senato, è stata pensata sempre con l'occhio ad una preoccupazione di tutti i cultori della democrazia: evitare la tirannide della maggioranza e quindi impedire che in un certo anno, in un certo giorno, vi sia una maggioranza unica, a tutti i livelli e in tutti gli organi, così riducendo la dialettica interna tra gli organi».
Draghi con il suo attivismo si sta sbarrando da solo la strada per il Colle?
«Non parlerei di attivismo, ma piuttosto di un "governo che governa", senza rinviare o farsi vincere dai negoziati infiniti. Penso che una persona con l'esperienza di Draghi sappia quello che dicono i francesi sulle cariche pubbliche: non si sollecitano e non si rifiutano».
Se il premier fosse eletto al Quirinale, sarebbe opportuno andare al voto?
«E così un presidente appena eletto manderebbe a casa chi l'ha appena prescelto? Con la conseguenza, in questo caso, che un numero cospicuo di parlamentari non avrebbe neppure possibilità di essere rieletto, a causa della riduzione del numero dei parlamentari».
È giusto che il presidente della Repubblica lo elegga un Parlamento che di fatto non rappresenta più il Paese e che si è di fatto autodelegittimato con il taglio dei deputati?
«In tutti gli ordinamenti moderni, i tempi degli organi rappresentativi e le durate dei loro membri sono regolati in maniera diversificata, per il motivo che ho prima indicato. Non c'è una "democrazia istantanea"».
Si aspettava che Draghi picchiasse i pugni sul tavolo in Europa e pensa che sortirà qualche effetto?
«E chi poteva farlo meglio di lui? E non è meglio battere i pugni sul tavolo da parte di un convinto sostenitore dell'Unione europea, piuttosto che indulgere nel nazionalismo o sovranismo parolaio?»
I soldi del Recovery Fund costituiscono di fatto una cessione di sovranità senza ritorno?
«Le risorse sono date per migliorare il funzionamento della giustizia e dell'amministrazione, nonché per digitalizzare il paese e proteggere l'ambiente. Chi è contrario a questi obiettivi in Italia?»
Cosa ne sarà dell'Europa con il tramonto della Merkel e l'uscita di scena di Macron, l'Italia potrà riacquistare centralità?
«Che magnifica occasione per riconquistare il posto che spetta all'Italia nell'Unione europea! L'Italia non è solo uno dei Paesi fondatori dell'Unione, mai anche uno dei tre più grandi membri dell'Unione».
Draghi si sta sforzando di coinvolgere l'Europa nella gestione dell'emergenza immigrati: può riuscirci, come?
«Non ci si possono aspettare risultati a breve scadenza. Il problema immigrati è enorme. Occorre tener conto della decrescita demografica dell'Italia e dell'Unione europea nel suo insieme e delle previsioni di crescita demografica dell'Africa. Di immigrati ne avremo bisogno e sarebbe utile prevedere canali e priorità, come fanno da decenni gli Stati Uniti, nonché di organizzare un buon sistema di integrazione, tenendo conto che tutte le società moderne sono multietniche e che in Italia abbiamo molto meno immigrati che in altri Paesi europei».
Cosa ne pensa di Salvini, assolto a Catania e processato a Palermo per vicende analoghe?
«Vediamone gli aspetti positivi: è prova dell'indipendenza delle corti e dei magistrati e nel sistema giudiziario vi sono strumenti per risolvere diversità di interpretazioni e conflitti tra le corti. L'importante è procedere speditamente. Quindi, mi concentrerei sui tempi perché, come dicono gli inglesi, giustizia ritardata non è giustizia».