Santa Sede
Vaticano, Papa Francesco e la telefonata ad Angelo Becciu "per ringraziarlo": crescono i dubbi sull'inchiesta dell'Espresso
C'è una telefonata rasserenante del Papa al cardinale Angelo Becciu. Che però necessita di un'altra notizia utile a introdurre le domande: perché questo gesto di Francesco, per di più rivelato da fonti vicine al Santo Padre? È cambiato qualcosa nell'atteggiamento del Papa verso gli accusatori del piccolo prelato sardo? Ma ecco la premessa. Nel maggio scorso l'avvocato Laura Sgrò ha depositato una querela-denuncia presso il Tribunale vaticano. Ne siamo venuti in possesso.
C'è da far rizzare i capelli al marchese De Sade. Un monsignore della Segreteria di Stato testimonia la violenza sessuale da lui subita da un suo superiore, capo della sezione di lingua tedesca. Il tutto in una stanza della residenza Santa Marta, proprio quella dove risiede il Pontefice. Essa è corroborata da documenti sconcertanti, dove si attesta la totale omertà di personalità di alto rango nella gerarchia della Santa Sede. Entreremo dopo nei particolari, per quanto consenta il decoro della Chiesa e il rispetto della presunzione di innocenza. Resta il fatto che un simile reato non ha suscitato un'indagine o almeno la tutela della vittima, che si trova ancora alla mercé di vendette e soprusi. La legale del monsignore abusato inutilmente ha sollecitato i promotori di giustizia: non è riuscita neppure a ottenere il numero di protocollo del proprio deposito. Quali sono i criteri che guidano i comportamenti di questo organo che amministra la giustizia presso il trono di Pietro?
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TRUFFE E CALUNNIE
Sabato 21 novembre, Vittorio Feltri ha documentato su Libero come da 18 mesi giacesse dormiente sulla scrivania dei pm della Città-Stato una denuncia contro Massimiliano Coccia, depositata da Enrico Rufi, giornalista di Radio Radicale. Essa concerneva un abuso delle prerogative papali di concedere udienza, con una finzione beffarda con cui Coccia si è mascherato da don Andrea Andreani, qualificatosi segretario del Papa. Di questa truffa dai risvolti umani gravissimi (faceva strame del dolore di un padre per la figlia sedicenne deceduta) il cardinale Dominique Mamberti, ministro della Giustizia vaticana, aveva personalmente riferito al Santo Padre (e lo racconta il medesimo porporato a Rufi in una mail). Coccia è stato il terminale giornalistico delle calunnie depositate sul tavolo del Santo Padre, e arrivate lì come fossero fiori colti da mani linde e pure. Perché si è ritenuta quella denuncia una «non priorità», come la cancelleria del Tribunale ha riferito al denunciante sbigottito?
La nostra Brunella Bolloli ha inviato questa e altre 30 domande al promotore di giustizia Alessandro Diddi, lo stesso che con Gian Piero Milano sta setacciando le opere e i giorni del cardinale Angelo Becciu e dei suoi fratelli. Aspetta ancora un cenno di riscontro. Quanti enigmi porta con sé il caso Becciu, ormai trasformatosi nel caso dell'Espresso. Il caso Espresso a sua volta si tira dietro l'annesso quesito di chi abbia passato le carte calunniose per far deflagrare lo scandalo. L'affaire va ben oltre la bega giornalistica e attiene alla sicurezza del Romano Pontefice, come ognuno può capire. Ci sono segnali che lasciano intendere come il capo della Chiesa cattolica si stia scuotendo i calzari da molta polvere con cui si è cercato di condizionarne le mosse. E inducono a una bella domanda: si fida ancora in tutto e per tutto dei suoi inquirenti? Che le loro accuse si fossero fatte friabili "in altissimis" era già percepibile nell'intervista al Tg2, il giorno stesso in cui era stata resa pubblica la prima puntata della controinchiesta di Feltri (19 settembre), dell'arcivescovo Nunzio Galantino, l'uomo che da poco ha le chiavi della cassaforte vaticana. Il quale negò che alcuno avesse «depredato» il denaro destinato dal Papa ai poveri: l'obolo era intatto.
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Ma proprio questo era il capo di accusa riportato dall'Espresso come verità sancita dalla magistratura vaticana e italiana e messo davanti agli occhi del Santo Padre per annientare Becciu con una decisione senza appello. Ma ecco il segnale che somiglia a un razzo di allerta in mare. Il cardinale (sempre meno) in disgrazia Angelo Becciu ha ricevuto domenica sera la telefonata del Papa. Francesco, abbiamo appurato, lo ha ringraziato con semplicità per le tre lettere inviategli dal prelato sardo, il quale fino al 24 settembre era stato suo stretto e fidato collaboratore, finché fu abbattuto con il colpo alla nuca di un'inchiesta trasferita da qualche stanza vaticana all'anello debole di una catena perversa: il collaboratore dell'Espresso Massimiliano Coccia. Perché anello debole? Oltre alla denuncia citata, è stato destinatario di un provvedimento del Tribunale di Roma che lo assegna a un lavoro socialmente utile per «falso materiale».
TRUCCHI SVELATI
Torniamo alla telefonata di Bergoglio a Becciu. La notizia è una sassata contro i corvi che volteggiano nei cieli vaticani, ma pesa ancora di più, per capirne la portata, il fatto che la fonte cui si è abbeverata Maria Antonietta Calabrò, autrice dello scoop per l'Huffingtonpost, sia sgorgata a Santa Marta. La logica suggerisce che la contro-inchiesta di Vittorio Feltri e di Libero abbia pesato in questo mossa distensiva. Questo Papa non ha vergogna a cambiare idea, ha l'umiltà di mettersi in gioco e mutare avviso. Le rivelazioni di Feltri avevano svelato la strana magia che aveva consentito all'Espresso di dare le dimissioni di Becciu per già avvenute 7 ore e 48 minuti prima dell'udienza drammatica della defenestrazione del prefetto per le Cause dei santi.
A queste prove l'Espresso in edicola ha replicato in modo infantile, cercando cioè di nascondersi sotto le sottane del Papa. Il direttore Marco Damilano, a questo scopo, ha provato ad accreditarsi come ideologo dell'alleanza Bergoglio-Biden. Coccia annaspa ancor più disperato. Non ha nuove carte da esibire. Così, nonostante le promesse pubblicitarie sulle fantasmagoriche «scatole cinesi» di cui annunciava lo scoperchiamento, ha potuto mettere insieme una patetica sintesi delle puntate precedenti. Poi però per tutelarsi fa l'unica rivelazione interessante, e davvero formidabile. Confessa di essere l'altoparlante della magistratura vaticana e italiana. Scrive: «Il prelato (Becciu ndr) viene allontanato dagli affari generali dopo le segnalazioni degli inquirenti e della gendarmeria» e ripete quanto brutalmente smentito da Galantino: «(Quelli manipolati da Becciu sono) soldi, vale la pena ricordare secondo le autorità vaticane e italiane prelevati dall'obolo di San Pietro». Dove e quando e su quali pagine è stato scritto? Brutta storia. Nessuno passa più nulla a Coccia.
SCARPE SPORCHE
Ed eccoci alla querela-denuncia. Vi è contenuta la storia di un giovane prete che si ritrova solo, nel deserto spirituale e morale, dei corridoi curiali. Qui viene circuito da un brillante prelato che si qualifica essere dell'ala conservatrice. Lo controlla in ogni secondo, attimo, sembra un capo sezione del Kgb. Finché per il pretino esiste solo il monsignore. Il quale allunga le mani su di lui. Gli spiega che c'è un giuramento particolare che impone questa obbedienza cieca. È un crescendo che inutilmente alla fine il sacerdote ormai succube prova a riferire a vescovi e ad altri alti papaveri vaticani, che scopre essere parte di una lobby di omosessuali che si regge sul ricatto reciproco. Gliene viene un ictus, uno stato di abbattimento psichico.
Gli episodi a Santa Marta accadono prima che vi abitasse Francesco, ma quel che - secondo la denuncia - perdura è l'omertà e l'indifferenza, salvo prova contraria, di chi dovrebbe curare la giustizia e la salute dell'anima e del corpo dei più fragili. Un episodio, forse il meno crudo, tratto dal materiale che giace inerte sui tavoli dei pm vaticani: «Mi obbligò a mostrargli la mia stanza, ma mi rifiutai di ripetere il «gioco» (l'abuso, ndr) - così lo chiamava lui - avvenuto a Santa Marta. Mi chiese, allora, di dargli una mia scarpa. Si chiuse in bagno e dopo alcuni minuti tornò con la scarpa bagnata dal suo seme. Poi se ne andò via. Buttai subito via le scarpe». Lo scarparo è ancora in carriera.