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Coronavirus, la direttiva negli ospedali italiani: "In terapia intensiva solo i curabili". Gli altri? Morte certa

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Lorenzo Gottardo
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Sul Titanic fu: «Prima le donne e i bambini». Negli ospedali italiani potrebbe essere presto: «Prima i giovani e le persone che non hanno malattie gravi». Ovviamente, non lo sentirete dire per le corsie delle strutture ospedaliere, ma sappiate che in futuro i medici saranno chiamati a fare questa valutazione quando si troveranno davanti a casi che necessitano di ricovero nell' unità di terapia intensiva. Soprattutto se, come ormai si teme, l' epidemia di coronavirus che stiamo vivendo dovesse portare al collasso il nostro sistema sanitario.
Sottoporre a terapia intensiva «chi ha più probabilità di sopravvivenza e chi può avere più anni di vita salvata», così da sfruttare al meglio le risorse a disposizione, che rischiano di essere insufficienti nel caso la situazione si aggravi ulteriormente: questa è l' indicazione fornita al personale medico da Siaarti (Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva), in Italia la più importante società scientifica del settore. Lo scenario attuale, infatti, viene descritto come potenzialmente drammatico, «assimilabile all' ambito della medicina delle catastrofi» e quindi tranquillamente paragonabile a scenari di guerra, carestia, o terremoto.

 

 

Scenario catastrofico - Se dovessero essere rispettate le previsioni sul propagarsi del Coronavirus, per le prossime settimane si stima un importante aumento nei casi di insufficienza respiratoria acuta in diverse regioni d' Italia. La diretta conseguenza sarebbe l' esaurirsi in tempi brevi di quei circa 5100 posti letto di terapia intensiva, disponibili nel nostro Paese, tra strutture pubbliche e private. Ovvio che, in una simile situazione d' emergenza, il principio che i medici sono chiamati a seguire è quello dell' opportunità: gravità del paziente, presenza di altre malattie e reversibilità delle sue condizioni diventano, dunque, fattori da prendere in considerazione per stabilire se una persona può accedere o meno alle cure intensive. Con sensibili ripercussioni psicologiche anche sugli stessi medici. Non tutto il personale, infatti, ha alle spalle anni di servizio ed esperienza sufficienti a prendere decisioni così difficili.
Se gli effetti del Corona Virus dovessero aggravarsi ulteriormente portando a una saturazione totale del nostro Ssn, a quel punto diventerebbe necessario affidarsi a misure straordinarie. Nell' ottica di poter utilizzare al meglio le scarse risorse a disposizione per curare il maggior numero di persone. Una di queste misure è, ad esempio, porre un limite di età nei ricoveri in terapia intensiva perché, rispetto a un paziente giovane e in buone condizioni di salute, uno anziano e con patologie pregresse, magari gravi, avrebbe un decorso più lungo, complesso e inevitabilmente costoso in termini di risorse. Proprio come un' azienda, anche medici ed ospedali italiani sono posti davanti al difficile compito di scegliere su chi investire i proprio sforzi. Nella speranza che la scelta sia corretta e che il paziente designato - almeno lui - riesca a riprendersi.


Mortalità in aumento La soluzione cui si penserebbe immediatamente - ovvero, aumentare il numero di spazi in terapia intensiva - sarebbe, però, del tutto inefficace. Il problema non sono i posti letto, ma il personale, qualificato per gestire simili situazioni, a disposizione. Ecco perché un eccessivo aumento di ricoveri in terapia intensiva rischia di danneggiare tutti, persone affette da Coronavirus e non: a quel punto ai pazienti non sarebbero più garantite le adeguate cure e attenzioni.
Ecco perché, lucidamente, Siaarti prende in considerazione anche la più drammatica delle conseguenze cui il nostro Paese andrebbe incontro: «il prevedibile aumento della mortalità dovuto alla riduzione dell' attività chirurgica ed ambulatoriale, nonché alla scarsità delle risorse a disposizione». Una situazione catastrofica, dunque, come se fossimo tornati indietro nel tempo. Dove le migliori cure sanitarie possibili non sono più garantite a tutti i cittadini, ma solo a quelli che hanno maggiori probabilità di uscire vivi dall' ospedale.

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