Il caso

Suora stuprata abbandona figlia. Poi ci ripensa e la Cassazione le dà ragione

simone cerroni

Un passato da monaca, un presente da pentita e un futuro da madre. Era il febbraio 2011, la 44enne congolese, all'epoca monaca, diede alla luce una bimba all'ospedale di Pesaro. Un parto a dir poco felice, non tanto perchè suora, ma perchè la picccola era il frutto di uno stupro ai danni della suora compiuto da un sacerdote, anch'egli congoloese, durante una missione in Africa. Poi l'affidamento e il successivo ripensamento di voler riprendersi quella figlia che anche se non venuta alla luce volontariamente è pure sempre sua. Ieri, venerdi 7 febbraio, la prima sezione civile della Cassazione le ha dato ragione.  Le tappe - Dopo lo stupro, la donna, in preda al panico, si confronta con le superiori che le consigliano, se vuole continuare a fare la suora con le "Petites Soeurs de Nazareth" di partorire e non riconoscere la bambina che verrà subito data in affidamento ad una famiglia. "Glielo ordinano proprio", sostiene l’avvocato della donna, Luca Giardini. La promessa non fù però mantenuta dalla congregazione che non voleva più la congolese come suora. La "mamma monaca" viene cacciata dal convento e decide di tornare sui suoi passi e riavere indietro la figlia già dopo 2 mesi dalla nascita. Il Tribunale dei minori - La questione finisce così davanti ai giudici nel marzo 2013. La donna ottiene una prima vittoria, ma che comunque ha un retrogusto amaro. Il tribunale dei minori gli permette di vedere la figlia, ma nega la possibilità di adozione.   La Corte di appello - La Corte di appello di Ancona, però, pochi mesi dopo interrompe questo riavvicinamento, ribaltando il giudizio del Tribunale dei minorenni, sostenendo che "l’abbandono è ormai consolidato e la scelta di non riconoscere la figlia è maturata con assoluta consapevolezza". La Corte di Cassazione - Il caso approdato ieri davanti la prima sezione della Corte di Cassazione che applicando la Convenzione europea sull’adozione dei minori, ha stabilito che il rifiuto iniziale della donna (data la particolare situazione psicologica provocata dallo stupro) non le farà perdere il "diritto alla genitorialità". La Suprema corte ha ricordato che "l'esegesi delle regole normative proprie della procedura adottiva abbreviata confermano che all'eventuale manifestazione volitiva espressa antecedentemente al suo inizio, dalla madre biologica di non rivelarsi, non possa essere attribuita anche un'efficacia irreversibilmente estintiva del suo indisponibile diritto alla genitorialità né preclusiva di un successivo ripensamento con riconoscimento del figlio". Ora, con la sentenza della Cassazione, la mamma congolese potrà contare su un "percorso di avvicinamento" alla piccola. L'avvocato della donna, si è detto soddisfatto dichiarando che questa è "una sentenza che fa giurisprudenza, perchè fino ad oggi, nel caso di mancanza di riconoscimento alla nascita, lo stato di adottabilità veniva considerato come un obbligo".