Scommessa della Bonelli
Dylan Dog si rifà il trucco
In una memorabile storia pubblicata nel 1981 sulla rivista Frigidaire, «Giallo scolastico», Andrea Pazienza fa dire a un personaggio, Roberto Colasanti, nell’occasione intento a leggere per l’appunto un numero di Frigidaire: «Pazienza è proprio il massimo... Praticamente una rockstar». Andrea aveva allora solo 25 anni, ma si era già guadagnato i galloni di fuoriclasse del fumetto. Vuoi per uno spirito guascone giustificato dall’età effettivamente giovanissima, vuoi per il suo riconosciuto status di enfant prodige, Paz poteva dunque permettersi quella metafumettistica sequenza di vignette marcatamente (e quindi, almeno in parte, ironicamente) autocelebrative. Dalla prematura morte di Pazienza (avvenuta nel 1988) a oggi, solo un altro fumettista italiano ha considerato se stesso l’equivalente di una rockstar. Ma diversamente da Pazienza si è dichiarato rockstar prima, e non dopo, che anche altri gli riconoscessero un simile attributo. La bravura di Roberto Recchioni (è di lui che stiamo parlando) è stata quindi, finora, soprattutto extra fumettistica. La si potrebbe quasi definire una bravura attoriale: Recchioni - romano, quarantenne, prevalentemente sceneggiatore ma anche disegnatore di buone capacità - è stato abile, più ancora che nello scrivere o nel disegnare, nel proporre ai suoi interlocutori una “maschera” convincente. Che lui sia una rockstar se lo è detto da solo, ma poi ha saputo persuadere della cosa (non attraverso i fumetti bensì grazie al suo modo di relazionarsi ai media e in particolare al web, dove è presentissimo) un sacco di altra gente. La «maschera» di Recchioni ha i tratti dell’autore poliedrico, maledetto e seduttore. Magari essa corrisponde alla vera essenza di Roberto (che lui abbia doti di seduttore, del resto, è indubbio: è anzi proprio ciò che stiamo rimarcando), ma non è questo che importa: conta il fatto che finora, nella sua carriera, abbia pesato in misura superiore alle opere prodotte. Da quanto abbiamo scritto si potrebbe credere che reputiamo Recchioni privo di talento, ma non è così. Roberto è un bravo sceneggiatore, duttile e prolifico, capace di guizzi notevoli: lo attestano, tra l’altro, certe sue intense storie di Dylan Dog e diversi numeri di John Doe, una serie da lui ideata con Lorenzo Bartoli. Inoltre, lo si è accennato, se la cava anche nel disegno, come prova un suo recente libro intitolato Asso (Nicola Pesce Editore). Proprio questo autobiografico (e poco autoironico) lavoro, il cui protagonista è un alter ego di Recchioni impegnato ad affliggere il mondo coi propri deliri di onnipotenza e a soggiogare sessualmente le sue fidanzate, ci riporta al cuore della nostra riflessione. Che è il seguente: se Recchioni è divenuto la figura più rilevante del fumetto italiano contemporaneo non si deve tanto dalla sua bravura - che pure esiste - quanto dalla sua capacità di risultare credibile nel mostrarsi diverso dai colleghi. Nel mostrarsi, cioè, come una rockstar. Recchioni è apparso a tal punto plausibile, in questa veste, che la maggior casa editrice italiana di fumetti, la Bonelli, gli ha affidato le due operazioni editoriali più delicate tra le tante che stanno segnando il suo inevitabile rinnovamento, susseguente alla scomparsa di Sergio Bonelli e all’insediamento, al vertice dell’azienda, del giovane figlio di questi, Davide. La prima è il restyling di Dylan Dog, prossimo a essere sottoposto a un’autentica terapia d’urto finalizzata a frenare l’emorragia di vendite, scese ormai, per quanto riguarda l’inedito mensile, a circa 150.000 copie. Tuttora una cifra di assoluto rispetto, ma alcuni segnali hanno suggerito alla Bonelli un avvicendamento al timone della testata, fino alla scorsa primavera nelle mani di Giovanni Gualdoni. In primo luogo l’erosione costante di lettori, numero dopo numero, spia di una tendenza negativa che fa paventare, in prospettiva, scenari foschissimi. Secondariamente, il fragoroso flop della ristampa a colori dei primi 150 numeri dell’Indagatore dell’Incubo edita da Repubblica, anche questo un chiaro indizio di disaffezione da parte del pubblico. La cura ricostituente approntata da Recchioni prevede cicli narrativi maggiormente strutturati, il pensionamento dell’ispettore Bloch, il ricorso a situazioni più cruente e l’arruolamento di disegnatori dal tratto lontanissimo dagli standard bonelliani quali Gipi, Leo Ortolani, Ausonia (nome d’arte del fiorentino Francesco Ciampi, classe 1973, in curriculum numerosi volumi a fumetti dal taglio sperimentale) e Akab (pseudonimo di Gabriele Di Benedetto, 37enne milanese con all’attivo varie collaborazioni con Marvel, DC Comics e altre sigle americane). La seconda operazione è il lancio, lo scorso ottobre, della miniserie fantascientifica a colori Orfani, creata da Recchioni con il disegnatore Emiliano Mammucari, il più oneroso investimento economico (quasi 3 milioni di euro) nella storia della Bonelli. La condizione attuale di Recchioni è apparentemente invidiabile ma, in realtà, assai spinosa. I progetti che è chiamato a portare avanti sono infatti azzardatissimi, poiché gli stravolgimenti di personaggi collaudati rappresentano un’incognita enorme (rischiando di scontentare i vecchi lettori senza portarne di nuovi: in Bonelli vi è un precedente significativo, quello di Mister No) e l’impatto di Orfani non è stato all’altezza delle aspettative, né sul piano artistico - la saga è per ora abbastanza interlocutoria e non così originale - né su quello delle vendite, al di sotto delle 50.000 copie (almeno stando ai dati diffusi dal sito Fumetto d’Autore). È da adesso in poi che sarà possibile appurare se quella di rockstar del fumetto sia la vera dimensione di Recchioni oppure solo un riuscito camuffamento. Noi, dal canto nostro, non possiamo che fargli molti e sinceri auguri. di Giuseppe Pollicelli