In mostra a Roma
"Il Tesoro di Napoli", tra San Gennaro e la storia di un popolo
Il Tesoro di Napoli è la storia di San Gennaro, ma anche la storia di un popolo. Non s'era mai visto, al di fuori delle mura di Napoli, un numero così consistente di capolavori -settanta per la precisione- provenienti dalla collezione di arte orafa più importante al mondo, accanto a documenti originali,dipinti,disegni e arredi. Ora una straordinaria esposizione dal titolo ''Il tesoro di Napoli - I capolavori del Museo di San Gennaro'', si mostra al Museo Fondazione Roma a Roma-Palazzo Sciarra, aperta fino al 16 febbraio 2014. Un'esposizione, curata da Paolo Jorio, direttore del Museo del Tesoro di San Gennaro, e Ciro Paolillo, esperto gemmologo e docente presso l'Università La Sapienza di Roma, e fortemente voluta dal presidente della Fondazione Roma Emmanuele Emanuele per ''rendere fruibile un patrimonio altrimenti nascosto al pubblico'', che racconta una delle collezioni di arte orafa più ricche e importanti al mondo, formatasi attraverso 700 anni di donazioni di papi, imperatori, re, ma anche di ex voto popolari. “Per avere una grazia da San Gennaro bisogna parlargli da uomo a uomo”. Così parlò Armandino Girasole, alias Dudù ovvero Nino Manfredi, in quella commedia capolavoro di Dino Risi del 1966 che ha per titolo “Operazione San Gennaro”. La gente comune ha sempre pregato e offerto ceri, suppliche e parole, invece re, nobili e principi in sette secoli hanno pensato bene d’ingraziarsi il miracoloso protettore, che oggi nel mondo conta 25 milioni di devoti, con doni straordinari, ovvero ori, gemme, opere d’arte di qualità eccezionale. E San Gennaro, il martire decapitato a Pozzuoli nel IV secolo è finito per diventare, un po’ per fede e tanto per regale convenienza, il santo più ricco del mondo, depositario di un patrimonio superiore anche al tesoro della Corona d’Inghilterra e a quello dello Zar di Russia. Questo almeno è quanto sentenziato da un’ équipe di gemmologi e storici che ha studiato per circa tre anni opere e singole pietre (oltre duemila fra diamanti, rubini, smeraldi, zaffiri, perle) certificando che si tratta del tesoro tra i più importanti al mondo per valore artistico ed economico. Il percorso espositivo ruota attorno ai due più straordinari capolavori del Tesoro: la Collana di San Gennaro, in oro, argento e pietre preziose, realizzata da Michele Dato nel 1679 e la Mitra, in argento dorato, 3326 diamanti, 164 rubini, 198 smeraldi e 2 granati, creata da Matteo Treglia nel 1713, di cui quest’anno si celebrano i 300 anni della realizzazione. La Mitra con le sue 3.964 gemme preziose fu commissionata da re Carlo II d'Angiò al maestro Matteo Treglia esattamente tre secoli fa. Vede la luce nell’Antico Borgo Orefici, voluto dai sovrani angioini, una vera fucina di talenti, fra cui l’autore il maestro orafo Matteo Treglia. Il valore della mitra è enorme, sia per quanto concerne la materialità dell’oggetto, sia per la forte simbologia di cui è intrisa. 3964 pietre preziose tra cui diamanti, rubini e smeraldi ornano la Mitra, secondo una tradizione di costruzione di oggetti ecclesiastici legata alla simbologia delle pietre: lo smeraldo rappresentava l’unione della sacralità del Santo con l’emblema dell’eternità e del potere, i rubini il sangue dei martiri e i diamanti il simbolo della fede inattaccabile. Inoltre, le pietre raccontano un’altra affascinante vicenda. Si è scoperto, infatti, che alcune provengono da antiche cave dell’America latina, come afferma Ciro Paolillo: “Grazie alla dedizione del Treglia oggi ci troviamo di fronte a una delle più belle collezioni di smeraldi degli antichi popoli sudamericani esistenti al mondo e per tale motivo queste pietre acquistano un valore, non solo per la loro preziosità ma anche per la loro storia” . In mostra vivono preziosamente poi il maestoso San Michele Arcangelo che sguaina la spada,e l'esercito di santi in argento che avrebbero dovuto ''coadiuvare'' l'aiuto di San Gennaro. Fino all'atto notarile del 13 gennaio 1527 con cui l'intera città s'impegnava a costruire una nuova cappella in onore del suo santo protettore che l'aveva salvata dalla peste, dalla guerra e dal Vesuvio. La Collana di San Gennaro è uno dei gioielli più preziosi esistenti al mondo e la sua storia si intreccia in mondo forte con il percorso della costante devozione tributata al Santo dalla città e dai regnanti nel corso dei secoli. Nel 1679 i Deputati decidono di utilizzare alcune gioie (tredici grosse maglie in oro massiccio al quale sono appese croci tempestate di zaffiri e smeraldi) per creare un magnifico ornamento per il busto, dando mandato a Michele Dato, cui si affiancarono altri artigiani, per consentire la realizzazione di un pezzo così impegnativo nell’arco di soli cinque mesi. Attualmente la collana comprende anche altri gioielli di diversa fattura e datazione e di provenienze illustri: una croce donata nel 1734 da Carlo di Borbone, una croce offerta dalla regina Maria Amalia di Sassonia, una ciappa in tre pezzi con diamanti e smeraldi, una croce di diamanti e zaffiri del 1775 donata da Maria Carolina d’Austria, una spilla a forma di mezza luna del 1799 donata dalla Duchessa di Casacalenda, una croce e una spilla in diamanti e crisoliti offerte da Vittorio Emanuele II di Savoia ed altri oggetti ancora. Particolare curioso è che nel 1933 Maria Josè, moglie di Umberto II di Savoia, si trovò a visitare la Cappella di San Gennaro in forma privata e non avendo portato con sé nulla da donare, si sfilò l’anello che indossava offrendolo al Santo. Questo dono trova ora posto sulla collana. Lo stesso Napoleone, che ovunque depredò per portare a Parigi, quando approdò a Napoli non solo non prelevò nulla, ma unico caso nella storia, ha addirittura donato. Giuseppe Bonaparte, infatti, quando entrò a Napoli donò, su consiglio del fratello, nel 1806 una croce di diamanti e smeraldi di rara bellezza che poi la Deputazione volle inserire tra i gioielli donati dai sovrani che compongono il collare di San Gennaro. Lo stesso cognato di Napoleone, Gioacchino Murat, seguì il suggerimento dell’imperatore e volle donare nel 1808 un ostensorio in oro, argento con pietre preziose. Tutti e due i capolavori sono infatti esposti nella mostra di Roma. La venuta dei francesi a Napoli è testimoniata dall’unica iconografia conosciuta: è un quadro del francese Hoffman, realizzato nel 1800 e recuperato dalla Deputazione a Parigi, dove si distingue l’altare maggiore del Duomo, sul quale sostano minacciose e armate le truppe francesi, comandate da Championet e da Mc Donalds, che “pretendono” che San Gennaro compia il miracolo della liquefazione davanti al popolo. Anche questo dipinto è in mostra, come il quadro su San Gennaro, realizzato dal Solimena nel 1707, un autentico capolavoro di cromie e più famoso al mondo perché da quell’anno tutte le immaginette del santo patrono di Napoli sono riprese da questo quadro. E per finire visibilmente ammirevoli sono il Calice in oro, rubini, smeraldi, brillanti dell’orafo di corte Michele Lofrano, commissionato da Ferdinando di Borbone e realizzato nel 1761; l’Ostensorio in argento e rubini (1808) donato come atto di devozione al santo patrono da Gioacchino Murat; la Pisside gemmata in oro, rubini, zaffiri, smeraldi e brillanti offerta da Re Ferdinando II nel 1831; l’Ostensorio in oro, pietre preziose, perline, smalti (1837) dato da Maria Teresa d’Austria in occasione delle sue nozze con Ferdinando II; il Calice in oro zecchino (1849), donato da Papa Pio IX nel 1849 per ringraziare i napoletani per essere stato ospitato in asilo a causa dei moti mazziniani di Roma; la Croce episcopale in oro, smeraldi e brillanti, donata da Re Umberto I e Margherita di Savoia il 23 novembre 1878 nella prima visita a Napoli dopo la loro assunzione al trono; e ancora, la Pisside in oro, corallo e malachite (1931), realizzata dalla famiglia Ascione di Torre del Greco e donata da Umberto di Savoia il 5 novembre 1931 quando si trasferì con la moglie José a Napoli. Eccola la storia di una città e di un santo, San Gennaro, che a Napoli ha fatto lasciare un tesoro unico al mondo, il leggendario tesoro di San Gennaro. di Carlo Franza