La classifica del gusto

Forbes: tortellini, Lambrusco e mortadella, la cucina più buona del mondo è emiliana

Giulio Bucchi

Un tortellino val bene un’abiura: planetaria. Siamo vicini a Natale e vi farà piacere sapere che l’organo ufficiale dei miliardari del mondo si è ravveduto in fatto di cibi e invidia, loro abituati a caviale Champagne, il vostro bollito o la tagliatella con il vero ragù. Ma quali schiume di Ferran Adrià, ma quali licheni di Rene Redzepi: la felicità è l’incontro dell’ombelico di Venere con il brodo di cappone.  Lo dichiara in preda a un deliquio che neanche Stendhal davanti alla Certosa di Parma David Rosengarten food blogger molto coccolato dai quartieri alti newyorkesi che in un lungo articolo su Forbes, la rivista a stelle strisce che stila la classifica dei portafogli più pingui del pianeta, scrive: l’Emilia è il tesoro gastronomico dell’Italia. Specificando che tra Po e Marecchia è offerta «la migliore cucina del mondo». E poi aggiunge: «Mangiare in Emilia è un piacere. Ogni piatto è servito con orgoglio e cucinato secondo segreti familiari».  E bravo il nostro americanino che spiega come l’acme della gioia gastronomica lo abbia toccato quando è riuscito a non pentirsi di aver mangiato così tanto rinunciando alle insalate e al gastronimically correct. Nel suo reportage Rosengarten s’inebria di ubiquitario di Lambrusco, non sapendo che ci sono dispute infinite tra Grasparossa e Salamino, tra Sorbara e Castelvetro, si empie di bolliti, sollucchera tra prosciutti e salumi, va in estasi per lo gnocco fritto, orgasma per il Parmigiano Reggiano con l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena (e Reggio). Racconta di aver provato a Modena all’Osteria della Francescana i piatti di Bottura, nella top-five delle più celebrate berette bianche dell’universo famosissimo per il suo bollito non bollito, di avere sostato a Monteveglio al Ponte Rosso , dai Mugnai, al “92” dove era solito ritemprarsi Luciano Pavarotti e al Cappero.  E di fatto scopre l’acqua calda. Perché da sempre la cucina emiliana (e anche romagnola ancorché con evidenti influssi toscani) è considerata la più opima tra quelle italiche. Così all’invitato speciale di Forbes suggerisco di provare una vera cotoletta alla petroniana o la pasta e fagioli, o ancora il ragù, gli anolini parmigiani, i passatelli romagnoli, le lasagne, quella quint’essenza di morbidezza che sono i tortelli di zucca o l’erbazzone reggiano, l’opima e cortigiana salama da sugo ferrarese, per non dire della pancetta piacentina, della spalla cotta, dello strolghino o del culatello di Zibello che sua altezza Carlo d’Inghilterra si fa fare a posta con i suoi maiali dagli Spigaroli, il prosciutto stravecchio di Langhirano di Rullano, la Mortadella di Pasquini & Brusiani. Rosengarten nel suo reportage dichiara anche di aver provato la cucina toscana e quella siciliana e dice di averle trovate ottime, ammettendo che in Italia si mangia bene, ma la suggestione emiliano-romagnola risiede per lui nel fatto che qui pur agendo come in ogni parte d’Italia una cucina del vero fatto a mano i «piatti sono proposti con orgoglio».  Insomma Forbes s’è accorto che la cucina in Italia è un dato di tradizione (il fatto a mano) di cultura, di agricoltura ed identità. Forse non sa che in Emilia Romagna ci sono ancora le scuole per insegnare a fare la pasta col mattarello, che la ricetta del tortellino è depositata con atto notarile dall’Arciconfraternita alla Camera di Commercio di Bologna e che per sopire la disputa - che dura dai tempi della Secchia rapita narrata dal Tassoni - tra Bologna e Modena si è deciso che il primo tortellino è stato prodotto da un oste di Castelfranco Emilia che sta esattamente sul confine delle due provincie. Probabilmente a Rosengartner è sfuggito che Pellegrino Artusi - il codificatore dell’italica gastronomia con il suo la Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene - era di Forlimpopoli per nascita e fiorentino per consuetudine. E al newspaper di cose economiche sfugge un altro particolare: che la food-valley  che si estende da Bologna a Piacenza è il più consistente giacimento di industrie agroalimentari vocate alla Reggiano, la Dop europea col maggior fatturato estero.  Ma a questo punto tocca a noi italiani porci una domanda, ben sapendo che già sono iniziate le dispute di campanile per stabilire a chi spetti davvero lo scettro della miglior cucina: siamo consapevoli di questo valore? Lo abbiamo difeso quando oltre 77 mila ristoranti italiani all’estero non hanno nessun controllo? E ancora i nostrani critici che si sono esaltati per le astruserie esterofile perché non hanno difeso questa cucina artusiana? Hai visto mai che avesse ragione l’ex sottosegretario alla cultura, Ilaria Borletti Buitoni, che ebbe l’ardire di affermare il vero: meglio una buona tagliatella di un piatto anche trendy, ma incomprensibile. di Carlo Cambi