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Vaticano, fondi segreti in Svizzera per centinaia di milioni di dollari: l'ultimo scandalo

Davide Locano

L'ex capo revisore dei conti del Vaticano, Libero Milone, sostiene di essere stato cacciato dal suo posto, due anni fa, per aver voluto indagare su centinaia di milioni di dollari, trattenuti dalla Segreteria di Stato «fuori dai libri contabili» in banche svizzere; conti bancari segreti che, ora, vengono legati alle operazioni di compravendita immobiliare a Londra, che hanno fatto scattare un' indagine interna alla Santa Sede per sospette irregolarità finanziarie. Leggi anche: Papa Francesco presto sostituito? Voci sul clamoroso ribaltone Intervistato dal Financial Times, Milone ha denunciato che, allora, «alcune persone si sono spaventate» del fatto che stesse per «scoprire» cose che non avrebbe dovuto vedere. «Eravamo andati troppo vicino a informazioni che volevano tenere segrete e hanno inventato una situazione per buttarmi fuori», ha dichiarato l' ex primo revisore dei conti del Vaticano, ufficialmente dimessosi ma che ha poi spiegato di essere stato costretto a farlo. Milone ha spiegato che quando era entrato in carica, nel 2015, non esistevano tracce ufficiali di centinaia di milioni di dollari, tenuti dalla Segreteria di Stato vaticana in conti svizzeri. La loro esistenza sarebbe emersa grazie a informazioni fornite da fonti esterne alla Santa Sede. Milone ha poi denunciato che, pur avendo ottenuto da papa Francesco il permesso di chiedere informazioni alle banche in Svizzera, la sua richiesta fu bloccata da altri, dentro il Vaticano. Circa due anni fa, la sala stampa della Santa Sede aveva reagito ad accuse dello stesso tenore, rivolte da Milone in un' intervista al Corriere della Sera, a Wall Street Journal, agenzia Reuters e Sky Tg24, ribadendo che «risulta purtroppo che l' Ufficio diretto dal Dott. Milone, esulando dalle sue competenze, ha incaricato illegalmente una Società esterna per svolgere attività investigative sulla vita privata di esponenti della Santa Sede. Questo, oltre a costituire un reato, ha irrimediabilmente incrinato la fiducia riposta nel Dott. Milone, il quale, messo davanti alle sue responsabilità, ha accettato liberamente di rassegnare le dimissioni». «Non mi sono dimesso volontariamente. Sono stato minacciato di arresto. Il capo della Gendarmeria mi ha intimidito per costringermi a firmare una lettera che avevano già pronta», aveva replicato Milone. (M.D.)