Un aiuto alle coppie
Come passare un sabato all'Ikea senza divorziare
Gli uomini vengono da Marte, le donne vanno all’Ikea. Non è l’ennesimo librino di psicologia spicciola, ma un’idea molto diffusa. Pare che le donne amino le spedizioni nel magazzino giallo e blu, seguite da compagni ingrugniti. Per affrontare questo momento difficile nella vita di una coppia può rivelarsi molto utile l’apposita guida alla sopravvivenza appena pubblicata dal sito thedatereport.com. Un sito di New York, ma «ogni mondo è paese», come si diceva prima che aziende come l’Ikea ci insegnassero che il termine «globalizzazione» è più cool dei vecchi proverbi. Solo cinque regole, ma sono sufficienti per mantenere la pace in famiglia. Soprattutto di chi non ha molta dimestichezza con le liturgie del mobilificio svedese e non vuole che, dopo aver tanto risparmiato sull’acquisto dell’arredamento, si spenda tutto per pagare le parcelle di un divorzista. Uno: prepararsi una lista a casa e rispettarla in negozio. Poiché la tendenza di lei a perdersi nei reparti potrebbe irritare lui che vorrebbe già essere nello scaffale 22 posto 43 e non bloccato da venti minuti sulla scelta tra due comodini identici. Due: non andarci di sabato. In quel giorno l’Ikea è più affollata di un santuario durante un pellegrinaggio e la velocità di avanzamento è pari a quella delle processioni. Lui, che negli altri giorni affronta code micidiali quando torna a casa in tangenziale, potrebbe impazzire e iniziare a lanciare lampade Lampan sulla folla. Tre: Non lasciarsi distrarre e andare dritti al sodo. Difficile quando si hanno davanti a sé decine di poltrone su cui sdraiarsi. Lei non resiste e deve stendersi su tutti i letti. Lui, ispirato da quel mare di guanciali, già medita un finale alla Otello. Quattro: Fate una pausa al bar. L’estensione di un negozio Ikea è di solito immensa. Se non ci si ferma al punto di ristoro si rischia di finire disidratati. Solo che lo pensano tutti nello stesso momento e alla cassa c’è una ressa da concerto rock. Anche perché lei è sempre indecisa tra un dolcetto cilindrico verde o uno a cupoletta rosa. E non è certo di un caffè che hanno bisogno i nervi già tesi di lui. Cinque: Una volta a casa, prima un bel respiro, poi via col montaggio dei mobili, dopo aver firmato un patto in cui ci si impegna a non incolpare l’altro se si perde una vite fondamentale. Osservare bene le figure, le istruzioni Ikea non contengono nessuna parola. E se vi sfugge un foro microscopico disegnato su una delle tanti componenti, rischiate di dover ricominciare da capo e ritrovarvi all’alba ancora alle prese con l’Expedit. Come è successo a una coppia svedese che, tra urla e martellate alle cinque del mattino, ha costretto i vicini a chiamare la polizia. Regole utili, ma solo per i novellini. Noi vecchie volpi della scatola piatta non ne abbiamo bisogno. Perché, prima di tutto, all’Ikea ci andiamo da soli. E da soli poi carichiamo all’inverosimile l’auto abbassando sedili, smontando specchietti e guidando per 20 chilometri senza cambiare marcia. E sempre da soli poi monteremo anche i mobili più complessi, a costo di finire imprigionati in un armadio Pax. Noi non prepariamo alcuna lista prima di andare in negozio. Altrimenti sarebbe come andare al luna park con Furio, il marito di Magda: ingresso, un minuto in autoscontro, non più di due sulla ruota panoramica, 30 secondi di tiro al bersaglio, poi subito a casa. Non seguiamo nessun percorso e ci perdiamo nei reparti come Baudelaire invitava a fare nelle città che non si conoscono. E godiamo nell’andare all’Ikea nel week-end, quando i prodotti scompaiono ed è bello vedere litigare quelle coppie che poi faranno pace sul «nostro letto, preso e montato di sabato», come cantava in Convivendo Biagio Antonacci, ispirato forse dal negozio di Corsico. Io stesso ho salvato parecchi matrimoni minacciati da Ingvar Kamprad spiegando a lui che non c’è differenza tra lo stare a casa a vedere anticipi e posticipi e un giro all’Ikea. C’è la stessa folla vociante, ci sono le reti, i tornelli all’ingresso, la Family Card è quasi una tessera del tifoso e una volta, a Carugate, ho anche incontrato Fabio Caressa. Da solo. di Tommaso Labranca