ricordi

Vittorio Feltri in difesa del crocefisso: "Nessuno lo tocchi, vi dico io perché"

Caterina Spinelli

Il crocefisso non può infastidire nessuno né offendere alcun sentimento religioso. È il simbolo del cristianesimo che, inutile nasconderlo, ha cambiato il modo di pensare degli uomini. Chi lo nega mente a se stesso o rivela platealmente la propria ignoranza. Da un paio di millenni infatti tutti diciamo «prima di Cristo» o «dopo Cristo». Significa che costui ha segnato la storia e i nostri destini. Il crocefisso è l’immagine drammatica del dolore, con le sue spine, e sorvoliamo sui chiodi, che solo a vederli fanno venire i brividi e l’angoscia. Non c’è nulla di più straziante di quei due pezzi di legno a cui è appesa agonizzante una persona. Essi suscitano pietà e rappresentano la solitudine della morte. Noi esseri viventi siamo consapevoli che Gesù torturato riassume la nostra tragedia: siamo gente povera, debole, in balia dei potenti, pronti ad essere venduti, traditi, martoriati. Per i cattolici Cristo è figlio di Dio, ma questo è indimostrabile. Per noi laici è comunque l’emblema di una ingiustizia perpetrata dai rappresentanti della politica che hanno barattato la coscienza allo scopo di non avere grane con le autorità. Anche per gli atei Gesù è un punto di riferimento morale e culturale. Fu lui a predicare di amare il prossimo come se stessi, e di porre al centro della esistenza l’obbligo di essere solidali con i nostri simili. Principi che resistono da secoli e secoli e che hanno modificato i rapporti tra i popoli. Fare una meschina guerra al crocefisso, ossia pretendere che venga abolito in omaggio ad altre fedi, equivale a combattere noi medesimi e la nostra vicenda terrena. Un mio amico prete, monsignor Mansueto Callioni, col quale da ragazzo giocavo a calcio nella squadra del suo seminario, un giorno lontano mi regalò una croce d’argento dell’Ottocento. E, quando recentemente ho fatto un trasloco, gli addetti al trasporto lo hanno gettato tra gli oggetti da scartare. Quasi quasi, poco cristianamente, li prendevo a calci. di Vittorio Feltri