Pugno di ferro
Immigrazione, il generale Vincenzo Santo: "Azione militare contro gli sbarchi"
«Cancellare dalla mente dei trafficanti e degli emigranti l'idea che, una volta a bordo di un qualsiasi battello prima o poi si arriverà in Italia o in altro qualsiasi paese europeo». Il generale di Corpo d' Armata Vincenzo Santo, ex comandante della missione Nato in Afghanistan, torna alla carica sul fenomeno dell' immigrazione illegale. Lo fa sulle pagine di "Report-Difesa", uno dei siti più autorevoli di geopolitica diretto dal giornalista Luca Tatarelli. L' effetto più immediato da conseguire per stroncare il traffico di uomini- scrive il generale- è quello psicologico. Il blocco dei porti è inutile: «L' equinozio di primavera si avvicina e prima o poi, quando il tempo diverrà più clemente, dopo Malta,Spagna, Vaticano e Valdesi, toccherà anche a noi, malgrado il muso duro di Salvini, riaccogliere qualche disperato irregolare». A quel punto la pressione politica internazionale sarà ingestibile. Che fare dunque prima che la catastrofe umanitaria si profili di nuovo all' orizzonte? Per l' alto ufficiale dell' Esercito italiano, che vanta un' esperienza trentennale negli scacchieri internazionali più caldi, non c' è alternativa all' uso della forza, ovvero ad un intervento militare diretto. Leggi anche: George Soros ha un nuovo nemico: i cinesi Non una strategia limitata ad affrontare le singole emergenze come quella della "Sea Watch", bensì un' azione coordinata a vasto raggio per fermare il traffico di clandestini là dove si origina, ovvero in Libia. Ecco il piano del generale Santo: un dispositivo d' alto mare con cinque o sei unità, come fatto per "Mare Sicuro" per la sorveglianza ottico-radar delle coste libiche dalla Tripolitania, tra Misurata e il confine tunisino. Circa 200 miglia marittime. Con l' interazione di droni, velivoli ed elicotteri per il pattugliamento marittimo e forze speciali imbarcate sulle navi per la condotta di azioni dirette contro i trafficanti di uomini sul territorio libico. Un blocco navale dunque davanti alle coste libiche e il respingimento di tutti i barconi, navi delle Ong incluse, con rimpatrio forzato in Libia o altro paese africano di tutti gli emigrati clandestini a bordo. «Il blocco navale - ci spiega il generale- è un atto di guerra, ma noi siamo in guerra. Non sono forse i flussi migratori incontrollati, vero e proprio commercio di schiavi, una minaccia per la sicurezza, non ultimo il fatto che nel mezzo si possono nascondere terroristi o veicolarne futuri? Se ci spaventano termini come il «blocco navale» - prosegue Vincenzo Santo possiamo ribattezzarlo "interdizione marittima" ma occorre agire subito per non trovarsi di fronte ad un' emergenza fra poche settimane. Perché il traffico di esseri umani se non si argina, non avrà mai fine». La stessa "interdizione marittima", ricorda il generale veterano della guerra in Afghanistan, fu attuata negli anni Novanta, ai tempi dei flussi migratori albanesi, con uno specifico accordo nel 1997 con il governo di Tirana. «Nulla vieta- dice Santo- di raggiungere un accordo simile anche con l' attuale premier libico internazionalmente riconosciuto Al Serraj, al quale stiamo comunque addestrando ed equipaggiando la guardia costiera». E sarebbero così tacitate eventuali accuse di «attacchi alla sovranità» di altri paesi. La domanda è, a parere del generale Salvo, se vogliamo davvero porre termine a questo ignobile traffico: «Se sì, l' unica opzione è quella militare pretendendo che l' azione nel Mediterraneo centrale sia nelle nostre mani. Diversamente - conclude l' ex Capo di Stato Maggiore Nato- andremo avanti così per chissà quanto tempo ancora affidandoci a periodiche e stantie "eruzioni caratteriali"». di Francesco Bozzetti