Chi cambia idea

Papa Francesco, nella sua era i mangiapreti si convertono e attaccano la Lega di Matteo Salvini

Andrea Tempestini

Tutti baciapile. È il miracolo dell’era bergogliana, un miracolo tutto terreno, incartato quotidiniamente nei titoli dei giornaloni, dalle nostre parti, più che i “cani da guardia” del potere, i suoi cani da compagnia. Il prodigio consiste in una sparizione. Hanno infatti improvvisamente disertato il dibattito di questo Belpaese non solo i laici autentici, i liberi di spirito e di penna, che già non affollavano le redazioni italiche, ma anche i laicisti, i professionisti dell’anticlericalismo permanente e della dogmatica anticattolica. Leggi anche: Il fedelissimo del Papa e la strana frase sulla lotta alla pedofilia Sono diventati tutti, con pochissime eccezioni, chierichetti decorativi per le prolusioni terzomondiste di Papa Francesco o al massimo per le escursioni politiche e fin elettorali del cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei. Prendendosela con «la cultura della paura che non può mai tramutarsi in xenofobia o addirittura evocare discorsi sulla razza» (con riferimento ben poco allusivo alla supposta gaffe di un candidato in corsa per la guida della Regione più importante del Paese) e con «le promesse che già si sa di non riuscire a mantenere» (perifrasi che il Giornalista Collettivo ha riferito con zelante riflesso di casta a Berlusconi e Salvini e chissà perché non agli stipendifici vari garantiti da Di Maio o alle mance moltiplicate giornalmente da Renzi), costui è diventato l’idolo per un giorno di Corriere e Repubblica. Il (fu) tempio della borghesia produttiva, laica e illuminista, e l’organo del radicalismo giacobino e laicista, ieri hanno scavalcato Avvenire quanto a ortodossia ecclesiastica. «Voto, le critiche dei vescovi», «Vescovi contro la Lega», e mentre scorri distratto la prima pagina rischia di sfuggirti che le centrali del pensiero (unico) del Paese stanno tranquillamente ammettendo ciò che hanno additato per anni come il demonio: il ruolo della Chiesa come attore politico. Ve li ricordate, con Papa Benedetto XVI? Quando a Ratisbona rivendicava la differenza costitutiva tra l’Occidente, edificato sul matrimonio tra fede e ragione, e l’Islam, scaturito da quello tra fede e spada, un argomento un filo più vicino alle preoccupazioni spirituali di un Pontefice rispetto al programma di Salvini sui migranti, gridarono invepiriti dalle loro comode poltrone occidentali all’oscurantismo, alla discriminazione di civiltà, al Papa crociato che l’uomo d’intelletto e di studio Ratzinger non ha mai voluto essere. Quando venne invitato ad inaugurare l’anno accademico de La Sapienza, sessantasette professorini universitari sul cui lascito all’umanità è buio pesto scrissero una lettera (ovviamente rilanciata e sponsorizzata su Repubblica) contro l’invito dell’ateneo a uno dei più grandi pensatori viventi, che aveva il torto di essere cattolico, e perdipiù Papa. Per tacer del baccano immediato a editoriali unificati che scatenava ogni uscita del cardinal Camillo Ruini, quand’era presidente della Cei. Del resto il professor Alberto Melloni, firma di punta del cattolicesimo “progressista” (è l’eufemismo dei giornali seri per dire “cattocomunismo”), su Repubblica l’ha teorizzato espressamente: c’è ingerenza e ingerenza. Che differenza infatti tra «lo stile-Bassetti» e le «prolusioni pre-elettorali di Ruini», che (horribile dictu!) rischiavano addirittura di «dare sponda» a Berlusconi. Oggi i porporati danno sponda ai fanatici dello ius soli e dell’immigrazionismo a oltranza, quindi diventano improvvisamente chic, è di tendenza coccolarli e persino invocare il loro intervento pubblico per dare una lezione a questi buzzurri del centrodestra che quel rito profano e blasfemo che si chiama suffragio universale rischia di portare al governo del Paese. Perfino Il Manifesto, che il giorno dell’elezione di Ratzinger vomitò tutta la sua bile col titolo «Pastore tedesco», recentemente ha offerto in allegato i discorsi di Bergoglio su «Terra, casa, lavoro», perché un cristianesimo che parla come un sindacato non è più il marxiano oppio dei popoli, e i mangiapreti finiscono a braccetto col gesuita. Forse era meglio l’oppio. di Giovanni Sallusti