Parola dell'ex giudice

Carlo Nordio contro il Codice Antimafia: fatta a pezzi la legge che blocca il conto corrente

Andrea Tempestini

Giuristi divisi sul nuovo Codice Antimafia approvato in via definitiva dalla Camera, che allarga il perimetro dei possibili destinatari delle misure di prevenzione. In prima linea contro le nuove norme che prevedono la confisca dei beni anche a chi ha commesso reati di corruzione, concussione, terrorismo e stalking, l’ex magistrato Carlo Nordio, già procuratore aggiunto di Venezia. Non usa mezzi termini Nordio, definendo il nuovo Codice Antimafia un obbrobrio giudiziario: lo giudica un vulnus al principio di certezza dei diritti, basato «sul sospetto e sulla presunzione di colpevolezza». Cosa salva di questo codice? «Poco o nulla». Per lei si tratta di «un mostro d’inciviltà giuridica». «Certo, perché confligge col principio di presunzione d’innocenza consacrato dalla Costituzione, e anche col diritto alla proprietà privata che può essere limitato soltanto col giusto indennizzo. Oltre a essere sospetto di incostituzionalità, questo provvedimento sarà inutile nella lotta contro la corruzione e nella lotta contro la mafia». Con il nuovo codice antimafia in Italia secondo lei la giustizia del sospetto diventerà la regola? «Non diventerà la regola, ma è un passo avanti pernicioso per affermare quella cultura del sospetto che è esattamente il contrario di quello che dovrebbe essere una democrazia liberale». È sbagliato equiparare un corrotto a un mafioso? «Sì, sono due reati profondamente diversi. La mafia è un reato associativo con un livello di pericolosità sociale elevatissimo e mina dalle fondamenta la stessa convivenza civile, come il terrorismo. La corruzione è un reato grave, ma ha conseguenze completamente diverse, sostanzialmente economiche». Successo del populismo giudiziario e del clima giustizialista di sinistra? «Cede più che altro alla vana speranza della politica di raccattare voti e consensi con una manifestazione di severità puramente platonica, che non servirà fondamentalmente a nulla». Manovra elettorale quindi? «Le leggi ormai traggono sempre un minimo di ispirazione da presunti vantaggi politici, ma secondo me non raggiungerà nemmeno questo obiettivo, perché gli italiani ormai sono smaliziati, e capiranno che la norma è dannosa oltre che pressoché inutile. Il legislatore quando sente aria di consenso elettorale si inventa una nuova legge: lo ha fatto col femminicidio, con l’omicidio stradale, e adesso lo ha fatto col codice antimafia». È giusto estendere le misure di prevenzione ai reati di stalking? «Assolutamente no, per la stessa ragione per cui non è stato giusto estenderle ai reati di corruzione, ma se questo è l’andazzo probabilmente saranno estese a tutte le cosiddette priorità che si presentano di tanto in tanto di fronte alla nostra politica, e quindi alla violenza contro le donne, all’omicidio stradale e chissà a quante altre. In questo modo sarà annacquata la lotta contro la mafia perché questo provvedimento che doveva essere esclusivo nella lotta alla criminalità organizzata verrà esteso a reati più diversi e meno gravi». Viene snaturato così il sistema di prevenzione il cui carattere eccezionale è legato alle mafie? «Sì, proprio perché quello era uno strumento eccezionalmente adottato contro reati gravissimi come l’associazione mafiosa. Se si annacqua il vino, perde di grado; se il provvedimento si estende ad altri reati perde di intensità». Lei dice che la corruzione non si combatte inasprendo le pene, come si combatte allora? «Occorre disarmare il potenziale corruttore, togliendogli gli strumenti che gli consentono di farsi corrompere. È come paragonare i corrotti a una prima fila di soldati di una divisione: magari vengono tutti eliminati dalle nostre mitraglie, ma dietro c’è subito chi prende il loro posto». Qual è allora la strategia? «Smantellare l’arsenale di leggi numerose, incomprensibili, bizantine e contraddittorie, che conferiscono al pubblico ufficiale una discrezionalità che sconfina nell’arbitrio, consentendogli di fare ciò che vuole e quindi anche di vessare il cittadino e di farsi corrompere». Per la Presidente della Commissione antimafia Rosy Bindi, questo nuovo codice antimafia è un regalo al paese. «Più che un regalo direi che è un frutto avvelenato di quel poco che resta della nostra civiltà giuridica, che si definisce garantista ma lo è sempre meno». di Savina Confaloni