Co-genitori

Le coppie gay cercano donne su Facebook "per fare figli"

Giulio Bucchi

Dove non permette il legame omosessuale e non consentono le leggi, ci pensano gli escamotage. Alcune coppie gay, impossibilitate a procreare e ad adottare secondo la normativa italiana, stanno organizzando una campagna di opinione per richiedere comunque il diritto ad avere un figlio, magari mettendolo al mondo dopo che uno dei due partner abbia avuto un rapporto con una donna. A Milano è nato così «Facciamo un figlio», un gruppo – con tanto di pagina Facebook – che si batte per la co-genitorialità allargata e cerca donne disposte a offrire il loro grembo per soddisfare il «sogno» di paternità delle coppie omosessuali. «Sono qui per realizzare un sogno», scrive il fondatore del gruppo. «Sono in cerca di una donna che desidera diventare co-genitrice con me, essere molto presente nella vita di nostro figlio e crescerlo insieme come se fossimo due divorziati. Resto in attesa di ricevere proposte, per far nascere un bimbo al quale non mancherà l’affetto da parte del mio partner che avrà il ruolo del compagno di papà». La tendenza è già in atto, come ci conferma il presidente dell’Arcigay di Milano, Marco Mori. «Conosco molte donne in questa città», ci dice, «che sarebbero disposte ad aiutare i loro amici gay a diventare padri. E ne conosco altre che lo hanno già fatto». L’Arcigay, assicura Mori, sostiene tutte quelle coppie che desiderino vivere un’esperienza di «omogenitorialità» anche in questa forma: «Se c’è un accordo preventivo con la mamma biologica, non penso che ci siano problemi. Né credo che sia una forzatura della propria identità gay, fare l’amore con una donna al fine di avere un figlio. Se uno trova la persona giusta con cui questo desiderio si può soddisfare, perché no?». Fa qualche distinguo in più Federico Ferrari, psicologo e referente per la ricerca scientifica di Famiglie Arcobaleno Milano. «La storia di ciascuno di noi», ammette, «è così diversa che è bene ci sia la massima libertà di scelta. Se ci sono relazioni che permettono questo tipo di co-genitorialità allargata, non c’è niente di male. È fondamentale, però, che tutte le persone coinvolte nel rapporto siano consapevoli e consenzienti. Ed è anche necessaria una regolamentazione che tuteli i soggetti che ne fanno parte, a cominciare dal nascituro». Ferrari chiarisce anche quali siano le diverse categorie di surrogacy, ossia di «genitorialità surrogata», esistenti. «Quella derivante da un rapporto sessuale tra un gay e una donna», ci dice, «è forse la più rara. Capita solo in presenza di genitori bisessuali. Le più frequenti sono invece la surrogacy tradizionale e quella altruistica, rese possibili da un’inseminazione artificiale. Nella prima, la donna è sia donatrice dell’ovulo che portatrice del bambino in grembo. Nella seconda, offre soltanto la disponibilità alla gestazione, a partire da gameti altrui». Quando gli facciamo notare che entrambe le modalità sono vietate dalla legge italiana sulla fecondazione assistita, Ferrari risponde realisticamente: «Molte donne ricorrono all’autoinseminazione fatta in casa, che non è proibita». La co-genitorialità basata su uteri in affitto è solo una delle tipologie che permette di estendere il numero di genitori a più di due (creando «i genitori 3 e 4», direbbe il ministro Kyenge). Le altre versioni sono le unioni costituite da un partner gay divorziato che ha avuto figli in una precedente relazione etero, e l’altro che fa da co-genitore; e le famiglie allargate, trigenitoriali se non quadrigenitoriali, in cui ex coppie etero che hanno avuto figli decidono di condividere gli stessi spazi e di fondare una famiglia insieme a singoli omosessuali (genitorialità condivisa).  C’è poi la modalità classica di omogenitorialità, quella di coppie gay che pianificano un figlio, facendo ricorso alle tecniche di procreazione assistita all’estero o all’adozione, naturalmente in Paesi che la consentano. Anche qui però non mancano le proposte eccentriche. Un altro gruppo creato online da due uomini di Milano, «Aspiranti padri», chiede di far adottare a coppie gay «anche solo affettivamente, figli maggiorenni di 18-30 anni». Ragazzi orfani o abbandonati, che magari non hanno mai avuto un padre, potrebbero così trovarne due in un colpo solo. di Gianluca Veneziani