Il libro di una vittima degli anni di piombo
"Brigatisti assassini di mio padreE non chiedetemi di perdonare"
C’è chi dice no. A 38 anni dall’assassinio di suo padre per mano delle Brigate Rosse, Massimo Coco ha deciso di far sentire la sua voce: lui non perdona i terroristi. Non cerca riconciliazioni impossibili e non vuole costruirsi una carriera sulla qualifica di vittima-che-cerca di-capire-i-carnefici. E per spiegare le sue ragioni, con obiettività e una buona dose d’ironia, ha scritto un libro, “Ricordare stanca” (Sperling&Kupfer, 16 euro). Nessuna comprensione - e tanto meno perdono - per i brigatisti che l’8 giugno 1976 uccisero suo padre Francesco Coco, Procuratore Capo della Corte d’Appello di Genova, insieme all’appuntato dei Carabinieri Antioco Deiana e al brigadiere della Polizia Giovanni Saponara, addetti alla sua scorta. Nel 1976 Massimo Coco aveva 15 anni ed è riuscito a costruirsi una vita serena grazie alla sua passione per la musica e la cultura, ereditata proprio dal padre. Ma perché scrivere un libro per certi versi tanto scomodo? «Per il dolore non esiste amnistia, patteggiamento o grazia, e un assassino non sarà mai un ex» spiega Coco. «Lo spunto è stata una cerimonia al Quirinale dedicata alle vittime del terrorismo, in cui ho toccato con mano la differenza tra vittime di serie A, con tanto di articoli concilianti e buoni rapporti con i terroristi in circolazione, e quelle di serie B, che non avevano neanche un posto a sedere. Ho preso carta e penna per scrivere a un giornale, ma avevo troppe cose da dire. Così è nato il libro». A partire dagli anni Novanta sono stati pubblicati numerosi saggi e memoriali firmati da figli o mogli di vittime degli anni di piombo. Ogni caso una storia a sé, ma - in un modo o nell’altro - tutti gli autori sembrano accomunati dai medesimi propositi di perdono, in alcuni casi quasi di comprensione per gli assassini. In questo senso, quella di Massimo Coco è una voce fuori dal coro. «Sono in tanti a pensarla come me - dice Coco - ma hanno paura o non hanno accesso ai mezzi di comunicazione». Come se gli anni Settanta non fossero mai finiti. «In un certo senso è così: a quell’epoca il terrorismo si è sviluppato grazie a una vastissima area grigia di gente comune che tifava più o meno apertamente per i criminali politici. Quell’area grigia purtroppo esiste ancora, e tende a giustificare le opinioni degli eversori condannandone soltanto i metodi. È un problema politico e in molti casi di coinvolgimento ideologico personale. La controprova è che, giustamente, un mafioso, un ex nazista o un pedofilo non saranno mai invitati a tenere dibattiti in televisione o lezioni all’università». Un episodio per tutti fu la trasmissione “In mezz’ora” di Lucia Annunziata del maggio 2012, in cui l’ex appartenente a Lotta Continua e Prima Linea Sergio Segio, esecutore materiale degli omicidi dei giudici Alessandrini e Galli e coautore di altri due omicidi, diceva la sua sul terrorismo vecchio e nuovo come un qualsiasi opinionista. O come quando un noto giornalista cattolico concluse il suo pezzo sulla morte dell’autore di un attentato dinamitardo scrivendo: «È morto un uomo». «Il punto è proprio questo - attacca Coco -. Loro non sono uomini come tutti gli altri. Ci sono persone che sparano e tirano bombe a mano, e altre che invece vengono uccise dai loro proiettili. Il mio sogno è una legge che sancisca l’interdizione perpetua dalla visibilità per gli autori di certi crimini. Una volta scontata la pena, qualsiasi cittadino ha il diritto di ricostruirsi una vita, ma certi personaggi non dovrebbero mai più scrivere libri o rilasciare interviste». Nelle parole di Massimo Coco non c’è volontà di vendetta per chi gli ha rubato la possibilità di crescere insieme a suo padre. Piuttosto amarezza e delusione per certi rappresentanti delle istituzioni che per troppi anni hanno abbandonato le vittime del terrorismo e i loro parenti a loro stessi. Qualche nome? «Preferisco evitare, non vorrei dimenticare qualcuno» scherza Coco prima di tornare a correggere gli spartiti di un concerto che si terrà a Genova il 9 novembre prossimo, proprio in onore delle vittime del terrorismo. «È un lavoro a cui tengo molto, perché mi consentirà di rispettare il dovere del ricordo con il linguaggio che conosco meglio, cioè la musica». di Francesco Patti