L'inchiesta di Libero
I migliori ospedali in Sardegna, Puglia Toscana, Campania ed Emilia Romagna
Due fotografie, una scattata in Toscana, l’altra in Campania. Nella prima, non c’è nessun ospedale che, se si prendono in considerazione i dati sulla mortalità a trenta giorni dopo il ricovero o per un infarto miocardico acuto o per un ictus, presenti percentuali superiori alla media nazionale (che è, rispettivamente, del 10,3 e dell’11,6 per cento). Quanto agli infarti, si va dal 7,3 per cento del “Piana” di Lucca al 4,5 per cento (primato regionale) dell’ospedale civile di Carrara. Per quanto riguarda l’ictus, invece, si scende dal 7,9 per cento del fiorentino Careggi al 5,3 per cento con cui primeggia, ancora una volta, l’ospedale di Carrara. Dalla Toscana alla Campania, le cifre si rovesciano. A Caserta e a Napoli, purtroppo, ci sono due degli ospedali peggiori quanto a mortalità post ricovero per infarto: il 21,8 per cento al “San Giuseppe e Melorio”, il 20,5 per cento al “San Paolo”. In Italia, solo il “San Giovanni Evangelista” di Tivoli, col 24,6 per cento, fa peggio di loro. E per gli ictus? Anche qui, a livello nazionale, dopo il barese “Di Venere” (37,4 per cento), i peggiori nosocomi sono il “Maresca” di Torre del Greco, Napoli (34,2 per cento), e la casa di cura “Pineta grande” di Castel Volturno, Caserta (33 per cento). Ma ai vertici di questa poco commendevole classifica troviamo altre due strutture, a San Giugliano e ad Acerra. Eppure. Eppure la Campania vanta anche due strutture che si piazzano al secondo e al terzo posto nella classifica nazionale dei più “virtuosi”: solo il 3,2 per cento dei pazienti ricoverati dopo un infarto perde la vita nei trenta giorni successivi al ricovero post infarto all’ospedale “Santa Maria della Speranza” di Battipaglia (la media nazionale, ricordiamo, è del 10,3); tasso solo leggermente più alto, il 3,3 per cento, al “San Giovanni di Dio” di Frattamaggiore... Queste costanti (ottime prestazioni, e generalizzate, da una parte; inefficienze diffuse e qualche isola virtuosa dall’altra) si ripetono sostanzialmente anche in Emilia Romagna e in Puglia. Oltre alle regioni citate, oggi Libero pubblica i dati relativi a Liguria e Sardegna. La fonte è l’Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali che mette ogni anno sotto esame gli oltre mille ospedali italiani, basandosi sui dati del Sistema informativo ospedaliero e dell’Anagrafe tributaria. L’analisi relativa al 2011 (gli ultimi dati disponibili), resa pubblica da Libero, ha sollevato anche qualche critica. Alcune strutture hanno messo in rilievo i limiti nella raccolta dati. Secondo il capo del Dipartimento di Cardiochirurgia del Centro Cuore di Villa Bianca (Bari), per esempio, le schede di dimissione ospedaliera (Sdo), sulle quali si basa lo studio dell’Agenas, non offrono una ricostruzione esaustiva della storia clinica del malato. Mentre il direttore di Cardiochirurgia degli “Ospedali Riuniti Papardo-Piemonte” ricorda che la mortalità che si riscontra in una struttura è un dato poco significativo se non confrontato con la “mortalità attesa” dei pazienti che vengono curati. Va detto, però, che la stessa Agenas ricorda di tenere conto «delle possibili disomogeneità esistenti nelle popolazioni studiate, dovute a caratteristiche quali età, genere, gravità della patologia in studio, presenza di comorbidità croniche, etc.». Inoltre, quando una serie di dati ha un rischio di errore troppo elevato, questi vengono giudicati statisticamente non significativi: ecco perché molti ospedali non li trovate in classifica. di Alessandro Giorgiutti