Policlinico di Monza

"Ma i criteri che usa l'agenzia sono discutibili"

Lucia Esposito

«Io e i miei colleghi leggendo la classifica che avete pubblicato siamo saltati sulla sedia: noi facciamo parte dell’eccellenza sanitaria d’Italia, una collocazione così penalizzante non ci rende giustizia». Francisco Guerra, responsabile della Cardiochirurgia al Policlinico di Monza, accento ispanico ma quasi trent’anni di esperienza in sala operatoria in Italia, contesta con forza i criteri valutativi che stanno alla base della classifica dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari, pubblicata ieri in anteprima da Libero e che ha piazzato la struttura lombarda tra le peggiori per l’impianto di bypass, promuovendo invece nosocomi di Palermo, Catanzaro e Lecce. Cosa non vi torna nei dati dell’Agenas? «Si tratta di valutazioni statistiche che ignorano un’infinità di variabili che non possono essere ridotte ai meri numeri». Ad esempio? «La storia clinica del paziente, le multipatologie, la gravità dell’intervento che spesso e volentieri spinge migliaia di persone a spostarsi dalle regioni d’origine - al Sud ma non solo - per venire a curarsi in Lombardia». Sono fattori che possono influire in che modo sulle valutazioni dell’Agenzia? «Le faccio un esempio molto concreto: l’incidenza delle patologia cardiovascolari è di 6/700 casi ogni milione di abitanti. In Lombardia ci sono 9 milioni di abitanti, ma quasi tutte le strutture della regione - e solo a Milano sono 17 - operano nell’ordine del migliaio di casi, e oltre, all’anno». Quindi? «Quindi significa che la mobilità sanitaria, ovvero la migrazione di pazienti dalle regioni di origine verso altre, ha un’incidenza elevatissima sulle valutazioni numeriche dell’Agenas. Una struttura che accoglie pazienti da altre regioni avrà a che fare non con casi di lieve entità - perchè quelli si curano banalmente a casa loro - ma con emergenze e situazioni ad elevata complessità diagnostica e prognostica. Dunque il tasso di mortalità potenziale è evidentemente più elevato per quelle strutture che trattano numerosi casi ad alto rischio, mentre i piccoli centri locali godono paradossalmente del beneficio di dover curare pazienti meno problematici». Da qui la sproporzione di valutazioni positive per le realtà del centro-sud, rispetto a quelle del Nord? «Certamente si tratta di una variabile che a mio giudizio non è stata tenuta sufficientemente in considerazione da chi ha elaborato questi dati. Ma per noi, che siamo un centro relativamente piccolo con i nostri 500 casi all’anno, la metà dei quali da fuori regione, fa certamente la differenza tra un buon curriculum e una bocciatura immeritata». E. Cav.