Allegre per forza
La rivolta delle cassiere costrette a sorridere dal contratto della Coop
Un tempo, quando esisteva il varietà, il momento più temuto dal comico che si presentava sul palcoscenico era quando dalla platea si levava inevitabile l’ammonimento, spesso in dialetto romanesco: «Facce ride!», facci ridere. Ma quello era un comico, far ridere era il suo mestiere, dunque l’intimazione di chi aveva pagato il biglietto era giustificata. Ma se alla CoopEstense, catena di supermercati che fa parte del marchio della grande distribuzione Coop, si richiede alle cassiere di sorridere sempre ai clienti, e lo si specifica nel contratto, pena mancata corresponsione del premio in busta paga, la questione ci sembra vicina al meccanismo di ricompensa usato per gli animali ammaestrati. Evidentemente così la pensa anche un gruppo di dipendenti, che ha annunciato uno sciopero del sorriso: per un giorno i clienti si vedranno rivolgere solo sguardi corrucciati. I dipendenti della CoopEstense sono 5600, per la maggioranza donne, e certo si deve alla prevalenza femminile l’idea di uno sciopero così immaginoso e perfido, degno di una commedia di Aristofane. Nella nuova proposta di contratto della CoopEstense, l’obbligo al sorriso è compreso all’interno di una più ampia scheda di valutazione individuale dei dipendenti, in cui sono compresi indicatori quali la pulizia del grembiule, la sobrietà del comportamento, il modo di rapportarsi ai clienti. Come si capisce, sono tutti criteri soggettivi, allo stesso modo che giudicare se una persona è simpatica o antipatica. Ma il nuovo contratto prevede che solo se questa scheda di valutazione è positiva, cioè se ci si comporta come dei cretini sempre lieti, il dipendente verrà ricompensato con degli extra in busta paga. Più che un incentivo a lavorare meglio e con più soddisfazione del cliente, sembra un’intimazione a sottomettersi, a non mostrare il minimo disappunto né critica. E chiedere alle cassiere di sorridere o, meglio, il costringerle a sorridere, legando ogni sorriso a un premio in denaro, è un chiaro mezzo per addestrare il dipendente a sottomettersi al padrone. Infatti un conto è la pulizia della divisa da lavoro, o sanzionare comportamenti che costituiscono palese disturbo del lavoro, un conto è chiedere di recitare la gioia, il cui segnale esteriore è appunto il sorriso. Si può esigere che i dipendenti non siano maleducati, ma non che siano cordiali e simpatici, quello attiene alla valutazione arbitraria di ciascuno, alla casualità del carattere, alle sensibilità. Nessun datore di lavoro al mondo può pensare che vi sia tra le sue prerogative quella di imporre, per contratto, come fossero suoi burattini, un comportamento così intimo e prezioso come il sorriso. Chi va a fare la spesa in un supermercato vuole che la merce sia varia e abbondante, che i prezzi siano contenuti e che le attese alle casse siano più brevi possibile: non pretende certo di vedere una parata di cassiere sorridenti, e palesemente sorridenti in modo forzato, falso, come fosse una crudele imposizione o presa in giro. Solo nelle pubblicità dei dentifrici è comprensibile vedere volti che mostrano tutta la smagliante dentatura in una smorfia innaturale di felicità, e le elaboriamo come ridicole messinscene. Un supermercato con le cassiere in divisa immacolata, gentilissime e sorridenti, non per gioia o soddisfazione del lavoro, ma per il nascosto timore di essere colpite nella già magra busta paga, ci sembra un passo decisivo verso la trasformazione dell’uomo in automa senza libere emozioni, una specie di invasione degli ultracorpi, il cui primo avamposto sono le casse della Coop. Vedremo a cosa porterà lo scontro tra le sigle sindacali e la Coop, e se le cassiere in rivolta otterranno un nuovo contratto di lavoro, degno di essere umani e non di scimmie ammaestrate o di alieni senza emozioni, così da poterlo firmare. Fa riflettere, comunque, che una decisione così insana, la costrizione al sorriso, venga dalla Coop, il marchio della cooperative rosse, quello che ci ha spiegato nella sua propaganda che è dalla nostra parte, in cui sembra quasi che non solo non vi sia conflitto tra dipendenti e proprietà, ma addirittura che siano la stessa cosa, perché, ricorderete, la Coop siamo noi. Ora tutta questa armonia, questa allegria, pretende di essere non un innocuo slogan ma un obbligo contrattuale. No grazie, preferiamo una cassiera imbronciata perché ha la luna storta, a una che ci sorride terrorizzata di prendere meno soldi.