Tanti scatti, poche sentenze
La carriera d'oro di un giudice: 5 milioni di euro per 6 ore al giorno
di Francesco Specchia Giù le mani dai giudici (e soprattutto dai loro stipendi). Se sul governo Letta aleggia lo spettro della riforma della Giustizia, ecco ora arrivare il rinculo della notizia che galleggiava dalla Gazzetta Ufficiale. Mentre i politici annunciavano i tagli di stipendio, i magistrati -nonostante il blocco agli aumenti che la finanziaria 2010 aveva previsto per le buste paga - si sono visti aumentare del 5% la retribuzione. Aumento con effetto retroattivo dal 2012, dato che la Corte costituzionale (fatta da magistrati) aveva dichiarato illegittimo il blocco degli stipendi. Così, secondo uno studio del Sole 24 Ore, un magistrato della Corte dei Conti che - poniamo - nel 2011 guadagnava 174 mila euro all’anno, ora ne prenderà 182 mila. Il vento per le carriere dei magistrati in media ogni 4 anni e 3 scatti, spira impetuoso. Difficile tra voci varie determinare il netto dello stipendio di una toga nei suoi 40/45 anni medi di carriera; pure se alcune tabelle indicative sulla magistratura ordinaria girano tra siti ed addetti ai lavori (quella a lato è datata 2010: oggi un magistrato ordinario guadagna 2.870 netti). Si va dai 2040 euro circa degli ex «uditori» di prima nomina ai 16.700 di un Presidente di Cassazione. Con scatti automatici di carriera che variano da una media di 500- 1700 euro al mese. Più o meno un magistrato a carriera piena percepisce 5 milioni di euro. Il che, nonostante si tratti di retribuzioni tra le più alte d’Europa non sarebbe un male. Se non fosse che la carriera procede sia che la toga arrivi in quel ruolo grazie alle promozioni, sia che resti in provincia. Non è raro. Il 67% dei magistrati italiani hanno una retribuzione superiore alla funzione che esercitano. Esistono - ovvio - tribunali che s’ammazzano di lavoro - Milano o Torino, ad esempio, sedi di prestigio per giudici rampanti - e altre che sfruttano appieno i loro 45/54 giorni di vacanza. La sezione disciplinare del Csm vibrò per un dato ineludibile: «6 ore lavorative al dì per un totale di 260 giorni l’anno». I numeri danzano spesso sul pressapochismo e l’inerzia delle toghe. Un paio d’anni fa il ministero della Giustizia si affidò all’Eurospes: la durata media di un’udienza penale era valutata di 18 minuti; e tre udienze su 10 si concludono con sentenza, mentre le altre vengono tutte rinviate, in media di 4 o 5 mesi. «Questo, una volta su quattro, accade per colpa di magistrati e giudici, per i loro ritardi, assenze ed errori. Ecco i motivi per cui si sono accumulate quasi 5,5 milioni di cause civili e nelle procure straripano 3,4 milioni di procedimenti penali, che nel 2012 si sono prescritti in 130 mila casi (356 al giorno)», scriveva Panorama. Il dato è aumentato. Ma la media di produttività delle corti d’appello -16 udienze annue nel civile e 28 nel penale - è la stessa. «Dirò di più: in tempo di crisi, noto, in primo grado, ormai una sentenza anomala su due. In appello viene di solito riformata, ma ciò è indice di faciloneria se va bene, o corruzione se va male», ci racconta un avvocato che ha costretto alla «richiesta di trasferimento» (non alle dimissioni) giudici in odore di corruzione. E qui sorge l’altro problema. La «supercasta» è più corporativa di un’assemblea rabbinica. Spesso si autoassolve. Calcolava Giuseppe Di Federico, ex membro laico del Csm, che dal 1988 a oggi siano stati appena 4 i condannati in sede civile, su un totale di 406 cause avviate e 34 ammesse dal «filtro preventivo» dei tribunali. E a pagare è sempre l’erario. Dice Di Federico: «Lo status del magistrato non prevede orario di lavoro. È anche difficile fare controlli di professionalità e produttività; non ci si è mai messi d’accordo sugli standard medi. L’unico parametro, così, è quello della media dell’ufficio in cui ci si trova. Meno si lavora, più bassa è la media e meno viene richiesto di fare. Dopo il ’68 in sostanza la valutazione di professionalità per la carriera è scomparsa. Toghe tutte promosse». La lentezza della giustizia solo nel 2009 è costata alle aziende oltre 25 miliardi fra arbitrati e parcelle. Eppure, l’articolo 11 della riforma Mastella dell’ordinamento giudiziario statuisce 4 parametri per la valutazione di professionalità che ogni quattro anni (valutazione massima: 28 anni) deve stabilire se un magistrato può progredire in carriera: capacità, laboriosità, impegno e diligenza. Quest’ultima riguarda proprio «l’assiduità e puntualità di presenza in ufficio nelle udienze e nei giorni stabiliti» e anche il rispetto dei termini nella redazione dei provvedimenti e nel deposito delle sentenze. Non c’è orario di lavoro, ma la puntualità nelle occasioni stabilite è prescritta. E vige il cosiddetto «scalone» che vale il raddoppio dello stipendio: se ne beneficia dopo circa cinque anni, cioè a metà del quinquennio successivo all’assegnazione in ruolo (due anni). Tornando ai criteri di valutazione: se un magistrato non li passa (giudizio «negativo» o «non-positivo») si brucia, di fatto, un anno di anzianità. Ma, a detta dello studio di Daniela Cavallini Gli illeciti disciplinari dei magistrati ordinari prima e dopo la riforma (Cedam, 2006): «...Di regola il Csm promuove tutti i magistrati al maturare del livello minimo di anzianità. Le poche valutazioni negative sono quasi sempre erogate a giudici e pm che hanno subito già gravi sanzioni disciplinari. A differenza degli altri paesi d’Europa, da noi il sistema disciplinare finisce di fatto per essere l’unico strumento di valutazione negativa della professionalità dei magistrati». E le valutazioni generalizzate o laudative «attenuano il rigore delle stesse condanne». Non c’è molta differenza fra vecchia e nuova normativa. Tra il ’79 e l’81 il Csm promosse 4019 colleghi su 4.034; tra il 2008 e il 2009, con la nuova normativa, le 554 valutazione effettuate furono tutte positive. Nell’anno di bufere giudiziarie, in tutti i 1292 tribunali, nessuno sbagliò.