Per uscire dalla "black list"
Vaticano, la rivoluzione di Papa Francesco: online i bilanci dello Ior
di Andrea Morigi Inizia dallo Ior l’operazione trasparenza in Vaticano. Anche la banca della Santa Sede, l’Istituto per le Opere di Religione, entro il 2013 intende pubblicare i propri bilanci addirittura su un sito internet. L’annuncio non è ufficiale, ma trapela dall’incontro avvenuto lunedì fra il presidente dello Ior, Ernst von Freyberg, e il personale dell’istituto. Addirittura al Torrione Niccolò V starebbero per ricorrere a una società internazionale di certificazione, perché vigili sulle loro attività. Di per sé, comunque, la presenza sul web non garantisce che si tratti di un passo avanti sul cammino indicato da Moneyval per ottenere l’ingresso nella «white list», cioè fra i Paesi che contrastano il riciclaggio. E, fra l’altro, il portavoce della sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, ridimensiona la notizia, parlando vagamente di generiche «informazioni relative all’attività e alla situazione dell’istituzione». Insomma, potrebbe essere soltanto un’operazione di maquillage, commenta l’ex deputato radicale Maurizio Turco, autore insieme a Carlo Pontesilli e a Gabriele Di Battista di Paradiso Ior. La banca vaticana tra criminalità finanziaria e politica dalle origini al crack Monte dei Paschi, di fresca pubblicazione per i tipi di Castelvecchi. Nemmeno la nuova gestione, inaugurata con la nomina alla presidenza dello Ior del cavaliere di Malta Ernst von Freyberg, il 15 febbraio, spiega Turco, garantisce che i conti siano a posto perché «la credibilità di chi dovrà redigerli è pari a zero. Innanzitutto per come si sono comportati nei confronti di Moneyval: non hanno dato i bilanci richiesti». Soprattutto, prosegue, occorrerebbe «intanto sapere dove sono allocati i soldi. Non penso che lo Ior sia una cassaforte che contiene sei miliardi». E anche «se dicono: “Ci apprestiamo a pubblicare i bilanci e a essere una banca come le altre”, rimane un segnale negativo, perché non ci sono organi di controllo. Perciò non saranno mai in regola con le norme antiriciclaggio». Lo sta a dimostrare il fallimento del tentativo che era stato compiuto con la legge che istitutiva l’Autorità di Informazione Finanziaria, che ha subito una battuta d’arresto, anzi «un passo indietro, effetto della controriforma». Invece, «ridisegnando la Costituzione, avrebbero potuto far passare lo Ior alla Santa Sede invece di lasciarlo, com’è attualmente, sotto il governatorato della Città del Vaticano. In quel modo, anche la banca vaticana rientrerebbe fra gli enti centrale della Chiesa cattolica». Turco è stato promotore e segretario di anticlericale.net, ma non gli manca la fiducia nel nuovo Pontefice: «Spero che Papa Francesco non stia illudendo troppo i fedeli borderline», dice augurandosi che «prenda in mano la situazione». Sarà che, perfino ai tempi di Gesù Cristo, era Giuda a tenere la cassa del collegio apostolico, ma proprio ieri, nell’omelia pronunciata durante la messa mattutina a Santa Marta, Papa Bergoglio ha accennato alla faccenda prendendo spunto dalla liturgia del giorno. Giuda che «era un idolatra, attaccato ai soldi», aveva puntato l’indice contro Maria Maddalena. Lei «lava i piedi di Gesù con il nardo, tanto costoso: è un momento religioso, un momento di gratitudine, un momento di amore». Il discepolo traditore, invece «si distacca e fa la critica amara: “Ma questo potrebbe essere usato per i poveri!”. Questo è il primo riferimento che ho trovato io, nel Vangelo, della povertà come ideologia. L’ideologo non sa cosa sia l’amore, perché non sa darsi». Scompare così, all’improvviso, ogni residuo dubbio sul presunto pauperismo nel pensiero del Papa argentino. In realtà, si potrebbe accusare Giuda di essere stato il primo teologo della liberazione. O anche un funzionario infedele dello Ior. Perciò, spiegava il Pontefice alla fine di aprile, l’Istituto deve ritrovare il suo «ruolo» di aiuto «a questa storia d’amore che è la Chiesa», la quale non è «un’organizzazione burocratica e gli uffici sono necessari, ma fino a un certo punto». Altrimenti si può anche chiudere.