La tragedia al porto

Genova, parla il pilota:"La nave non rispondeva, non mi sento in colpa"

Lucia Esposito

  Chiara Gannini Inizia a delinearsi la dinamica della tragedia che si è consumata martedì sera al molo Giano, nel porto di Genova, dove la porta container Jolly Nero è andata a sbattere contro la torre piloti, che subito dopo è crollata. La Procura di Genova sta ancora ascoltando i testimoni della vicenda. Il comandante della nave, Roberto Paoloni, 63 anni, indagato per omicidio colposo plurimo, continua a non parlare. Lo fa, invece, Antonio Anfossi, il pilota che in quel momento si trovava al timone del cargo. «La nave non rispondeva ai comandi», chiarisce, dicendo anche di non sentirsi «in colpa. Adesso per me» prosegue «è il momento delle lacrime. Piango per i piloti e militari scomparsi, tutti amici, ma al contempo voglio capire cosa è accaduto, come questo disastro si sia potuto verificare».  La Jolly Nero, varata nel 1975 col nome di Axel Maersk, un motore danese (Burmeister & Wain), una lunghezza di 240 metri e un peso di 60 tonnellate, era una nave, secondo il Rina (sistema di certificazione delle navi), senza problemi apparenti, almeno stando alle ultime revisioni. Un’avaria, però, deve esserci stata. Secondo quanto si apprende da fonti ufficiali e si ipotizza dal racconto di Anfossi, il motore e/o il timone si sarebbero bloccati. Lo dimostrerebbero i cavi spezzati dei due rimorchiatori a traino della nave. Nel far manovra all’indietro, per poi uscire dal porto (operazione compiuta circa seimila volte in un anno dalle navi in quel punto), la Jolly Nero ha preso velocità dalla parte di poppa. Il pilota ha gridato che la nave era fuori controllo, secondo alcuni testimoni, e i rimorchiatori, a quel punto, hanno cercato di fermarla, tirando in avanti. Ma il cargo è troppo pesante e le funi si sono spezzate. Troppo tardi, a quel punto, anche gettare le ancore. Come impazzita, la porta container si è schiantata contro la torre piloti, che è crollata.  Alcuni tecnici ieri mattina hanno provato l’accensione del motore e avrebbero verificato che è perfettamente funzionante. Ma saranno le due inchieste della Procura e della Guardia Costiera a dover far luce sulla vicenda. «Da puntualizzare» spiega il portavoce delle Capitanerie di Porto Filippo Marini «che la torre veniva chiamata torre piloti, in realtà era la sede della sala operativa della Guardia Costiera per le comunicazioni radio e il monitoraggio del traffico navale. Anche i piloti avevano una loro sezione in quell’edificio». Comunicazioni che, subito dopo la tragedia, sono state prese in carico dalle centrali operative di Savona e La Spezia.  Sul posto, al momento, stanno lavorando i tantissimi volontari intervenuti, ma in modo particolare i vigili del fuoco, sommozzatori, gli uomini della Guardia Costiera e un nucleo speciale della Marina Militare: i palombari del Gos (Gruppo operativo subacquei) di La Spezia. «Le operazioni» spiega il responsabile del team Consubim, capitano di fregata Bruno Rocca, tra i primi ad arrivare anche al Giglio, dopo il naufragio della Costa Concordia «sono iniziate immediatamente. Siamo arrivati la mattina successiva all’incidente e da subito abbiamo iniziato a rimuovere le macerie, concentrandoci nell’area in cui è crollata la sala operativa. Crediamo che i corpi dei due dispersi siano ancora lì, ma le ricerche sono rese difficili dalla quantità di detriti incredibile. Stiamo rimuovendo il pavimento interno, gli arredi e le strutture, ma sono le parti in cemento armato le più difficili da spostare. Operiamo anche a diversi metri di profondità e lo facciamo senza sosta. È un compito difficile, anche perché sulla banchina ci sono ancora i familiari di coloro che non sono ancora stati recuperati ad aspettare e il nostro non è un compito facile».