La decisione

Abu Omar, Napolitano concede la grazia all'agente della Cia

Sebastiano Solano

E' finalmemte giunta al termine la questione riguardante il caso Abu Omar, l'Imam egiziano che, secondo il Tribunale di Milano, sarebbe stato rapito illegalmente dalla Cia con l'appoggio dei nostri servizi segreti. Oggi, venerdì 5 aprile, sono uscite le motivazioni della sentenza di condanna per Niccolò Pollari e Marco Mancini, i due agenti dei segreti che avrebbero agevolato il rapimento. A fine serata, a mettere la parola fine alla vicenda, ci ha pensato il Capo dello Stato Giorgio Napolitano che con un comunicato ha annunciato di aver concesso la grazia al colonnello americano Joseph L. Romano III, l'agente della Cia che secondo i giudici sarebbe stato l'autore del rapimento.  Napolitano concede la grazia all'agente della Cia - Nel comunicato stampa diramato dal Quirinale si legge: "Ai sensi dell’articolo 87, comma 11, della Costituzione, ha oggi concesso la grazia al colonnello Joseph L. Romano III, in relazione alla condanna alla pena della reclusione e alle pene accessorie inflitta con sentenza della Corte d’Appello di Milano del 15 dicembre 2010, divenuta irrevocabile il 19 settembre 2012. La decisione è stata assunta dopo aver acquisito la documentazione relativa alla domanda avanzata dal difensore avvocato Cesare Graziano Bulgheroni, le osservazioni contrarie del Procuratore generale di Milano e il parere non ostativo del Ministro della Giustizia".  Un momento storico delicato - Questi i motivi della decisione: "A fondamento della concessione della grazia - prosegue il Quirinale - il Capo dello Stato ha, in primo luogo, tenuto conto del fatto che il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama, subito dopo la sua elezione, ha posto fine a un approccio alle sfide della sicurezza nazionale, legato ad un preciso e tragico momento storico e concretatosi in pratiche ritenute dall’Italia e dalla Unione Europea non compatibili con i principi fondamentali di uno Stato di diritto". D’altra parte - si legge nella nota - della peculiarità del momento storico dà conto la stessa sentenza della Cassazione che, pur escludendo che il Romano - come gli altri imputati americani - potesse beneficiare della causa di giustificazione dell’avere obbedito all’ordine delle Autorità statunitensi, ha però ricordato 'il dramma  dell’abbattimento delle torri gemelle a New York e il clima di paura e  preoccupazione che rapidamente si diffuse in tutto il mondo; e ha evidenziato 'la consapevolezza che ben presto maturò di reagire energicamente a quanto accaduto e di individuare gli strumenti più idonei per debellare il terrorismo internazionale e quello di matrice islamica in particolare, consapevolezza alla quale conseguì l'adozione da parte degli Stati Uniti di 'drasticì provvedimenti". Tenuto conto dei rapporti bilaterali con gli Usa - In particolare, precisa il comunicato, "il sopravvenire di tale nuova disciplina costituisce sicuramente un fatto nuovo e rilevante il  quale avrebbe fatto emergere un contesto giuridico diverso, più favorevole - nel presupposto della tempestività della rinuncia - all’imputato. In definitiva, con il provvedimento di grazia, il Presidente della Repubblica nel rispetto delle pronunce della Autorità giudiziaria ha inteso dare soluzione a una vicenda considerata dagli Stati Uniti senza precedenti per l’aspetto della condanna di un militare statunitense della NATO per fatti commessi sul  territorio italiano, ritenuti legittimi in base ai provvedimenti adottati dopo gli attentati alle Torri Gemelle di New York dall’allora  Presidente e dal Congresso americani. L'esercizio del potere di clemenza - è la conclusione - ha così ovviato a una situazione di evidente delicatezza sotto il profilo delle relazioni bilaterali con un Paese amico, con il quale intercorrono rapporti di alleanza e dunque di stretta cooperazione in funzione dei comuni obiettivi di promozione della democrazia e di tutela della sicurezza" Oggi le motivazioni della sentenza di condanna - Proprio oggi erano arrivate le motivazioni del verdetto della Cassazione che, circa un mese fa, aveva condannato Pollari e Mancino. Per i giudici d’appello che hanno condannato Niccolò Pollari e Marco Mancini rispettivamente a dieci e nove anni di carcere nel processo Abu Omar, il segreto di stato non può essere invocato dagli imputati perchè non 'coprè la materia del reato, cioè il sequestro dell’ex imam di Milano, ma solo i rapporti tra Cia e Sismi. "Traendo le necessarie conclusioni dalla normativa in materia di segreto - scrivono i giudici in un passaggio delle motivazioni del verdetto pronunciato il 12 febbario scorso - dall’applicazione che ne è stata fatta dall’autorità di governo negli atti appositivi acquisiti al presente giudizio e dai criteri enunciati dalle supreme autorità giurisdizionali che hanno affrontato il caso, va dunque osservato che pacificamente sul fatto reato in contestazione (il sequestro di persona ai danni di Abu Omar) non è stato apposto alcun segreto di Stato". Il processo di primo grado - Il giudizio d’appello aveva ribaltato la sentenza in primo grado di non doversi procedere per il segreto di Stato nei confronti degli ex vertici del Sismi. "Il complesso del materiale probatorio - scrivono i giudici - che è stato acquisito in atti e che può legittimamente essere valutato ai fini della decisione (ben piu” vasto di quanto era stato considerato utilizzabile dal primo giudice) consente, ad avviso di questa Corte, di addivenire compiutamente a una decisione nel merito dell’accusa ascritta agli imputati, senza che si presenti la necessità di dar corso ad alcuna rinnovazione dibattimentale" Pollari fornì il suom appoggio alla Cia - L’ex direttore del Sismi, Nicolò Pollari, ha consentito agli uomini della Cia "che venisse concretizzata una grave violazione della sovranità nazionale" dell’Italia, fornendo "appoggio" al sequestro di Abu Omar. Parole nette quelle con cui i giudici d’appello di Milano motivano la decisione di condannare, tra gli altri, Pollari a dieci anni. "Appoggio - scrivono i giudici - concretizzatosi con la diramazione dell’ordine ai propri sottoposti, che hanno poi aderito al piano criminoso e cooperato alla sua esecuzione Avrebbero dovuto tutelare la nostra sovranità - Particolarmente "grave", secondo i giudici, "è da ritenersi la partecipazione al reato di soggetti che, per la loro posizione soggettiva di appartenenti ad un’istituzione dello Stato, avrebbero dovuto garantire che simili violazioni non venissero commesse", come quella nei confronti di una persona, Abu Omar, che aveva anche lo "status di rifugiato politico" in Italia. Pollari e gli altri imputati, scrive la Corte, avrebbero dovuto "tutelare la sovranità del nostro Paese" e invece aiutando gli uomini della Cia nel sequestro hanno "permesso" una "grave violazione della sovranità nazionale"