Il ricordo di un testimone

Krancic e il dramma dei profughi istriani: "Nei negozi ci negavano la merce chiamandoci fascisti"

Giulio Bucchi

di Marco Petrelli "Oggi c'è solidarietà verso gli immigrati, solidarietà che a noi mancò". A parlare è Alfio Krancic che, nel corso di Una storia fiumana (evento svoltosi a Perugia l'8 marzo), ha ricostruito la vicenda dell'esilio giuliano dalmata e del re inserimento nella vita civile italiana vissuti in prima persona. "Un mio zio finì nelle foibe, denunciato da un vicino di casa italiano. Un mio cugino era invece nell'Ozna, la polizia di Tito", ha ricordato il vignettista naturalizzato toscano a voler sottolineare le conseguenze drammatiche che l'operato di Tito ebbe su una grande comunità italiana costretta a perdere molti dei suoi componenti tra pulizia etnica, esilio forzato e forme di collaborazionismo col nuovo regime, alcune per convinzione altre per convenienza.  Gli insulti de L'Unità - Al fine di comprendere il perché di un sessantennio di silenzi e omertà, importante è stata la relazione del professor Jacopo Caucci von Saucken (docente dell'Università di Firenze), che parte da un articolo de L'Unità, del 30 novembre 1946: Questi relitti repubblichini, che ingorgano la vita delle città e le offendono con la loro presenza e con l'ostentata opulenza, che non vogliono tornare ai paesi d'origine perché temono d'incontrarsi con le loro vittime, siano affidati alla Polizia che ha il compito di difenderci dai criminali. Caucci sottolinea l'enorme responsabilità del Partito comunista italiano che tentò di giustificare l'operato di Tito mediante una vasta opera di mistificazione della realtà. E' lo stesso Krancic, prendendo spunto dall'articolo, a ricordare che giunto a Firenze "il centro di accoglienza, ripensandoci nel tempo, mi sembrò quasi simile ad un lager; eravamo visti con diffidenza dai locali. Mia madre, andando a comprare del burro, si vide negare la merce: Non vendiamo ai fascisti".