Il racconto di Cristiana Lodi

Garlasco, le tappe del processo: Alberto Stasi è libero

Nicoletta Orlandi Posti

Ripubblichiamo l'articolo di Cristiana Lodi uscito su Libero il 29 settembre 2007. Libero. Alberto Stasi è libero senza alcuna riserva. Niente domiciliari o altra misura restrittiva. Il giudice Giulia Pravon, nelle otto pagine dell’ordinanza con la quale ieri ha scarcerato il fidanzato di Chiara Poggi, demolisce in toto l’impianto accusatorio della procura di Vigevano. Comincia così: «I dati ad oggi emersi appaiono parziali, acquisiti nell’ambito di accertamenti ancora in itinere e quindi privi del grado della certezza scientifica che deve renderli dimostrabili oggettivamente (...), affinché possano considerarsi indizianti di una responsabilità penale. Il substrato biologico prelevato dalla bicicletta dell’indagato e dal quale è stato isolato il Dna della vittima, non è riconducibile al sangue. Le considerazioni del Ris, non definitive ma preliminari, non sono sufficienti a supportare un quadro probatorio. Non sussistono i gravi indizi di colpevolezza indicati dal pm (...)». Queste le parole del giudice che ha fatto riaprire il portone del carcere Piccolini allo studente di 24 anni. Rimproverando anche alla collega che lo ha spedito in cella quattro notti, la «frettolosità del provvedimento di fermo». Lo hanno rinchiuso ingiustamente, senza avere tirato fuori le prove ma soltanto «una valutazione globale, complessiva»,continua il gip. Pravon, da poche settimane giudice delle indagini preliminari alla procura di Vigevano, annulla anche l’ipotesi del pericolo di fuga indicato dal pm Muscio: «Non può non rilevarsi che Stasi iscritto nel registro degli indagati da oltre un mese, in relazione a un’ipotesi delittuosa di particolare gravità, non risulta avere mai serbato condotte tali da fare anche solo ipotizzare una sua volontà di sottrarsi al procedimento penale in corso (...). Non può considerarsi che la mera circostanza dell’avere trascorso una vacanza studio in Inghilterra prima della consumazione di un delitto, valga ad integrare elemento concreto attestante una sua intenzione di espatriare, con la precostituzione di un rifugio all'estero». Eppure Alberto è stato descritto dal pm come un freddo assassino pronto a scappare pur di sottrarsi alla giustizia. Uno capace di «pianificare con accuratezza la versione da fornire agli inquirenti, nonché di occultare l’arma del delitto e cancellare ogni traccia dell’omicidio (...). E alla luce del fatto che aveva soggiornato all’estero, Alberto potrebbe organizzare la propria fuga per sfuggire alle gravi conseguenze del fatto commesso». Illazioni? È quanto si evince dalle carte del gip. Alberto non ha mai manifestato l’intenzione di scappare da Garlasco. Non solo perché è rimasto barricato in casa. Dal giorno in cui è stato iscritto nel registro degli indagati, fino a quando lo hanno trascinato in prigione, ma anche perché: «Si è volontariamente presentato davanti al pm, il giorno 17 agosto, allo scopo di rilasciare spontanee dichiarazioni», spiega ancora il gip. Un passo decisivo che ha anche contribuito a cancellare l’ipotesi che si sia contraddetto durante le oltre trenta ore di interrogatorio rese alla dottoressa Muscio. E aggiunge Giulia Pravon: «Le cosiddette contraddizioni indicate dal pm, altro non sono che impressioni avute dallo Stasi in un momento di angoscia, quando si è trovato davanti alla scena del crimine». Tant’è che nell’audizione del 17 agosto egli sottolinea di avere descritto “non quanto da lui visto ma quanto lui pensava di avere visto”. Così crolla anche il castello accusatorio bastato sulla descrizione della scena del delitto: il volto pulito di Chiara e il pigiama rosa. Il Ris ancora non ha consegnato la sua relazione definitiva. Il colonnello Luciano Garofano scrive però che la traccia trovata sul pedale della bici «non può essere che di sangue». Ma non lo dimostra. Tant’è che Francesco Avato, nella relazione con la quale smonta questa tesi, afferma il contrario e viene ritenuto attendibile dal gip. Da Parma deve arrivare il risultato del test svolto su altre «micro-tracce di origine ematica», trovate sempre sulla bici. Ma i periti hanno già messo le mani avanti: «È materiale organico di scarsa consistenza. Improbabile isolare un Dna da qui». Sono le 9 e 53 quando l’avvocato Giulio Colli, uno dei difensori di Alberto, chiama papà Nicola: «Ce lo riportiamo a casa», dice con voce emozionata. Alle 11 e 44 usciranno dal carcere sulla Golf blu, davanti alla ressa di fotografi e telecamere. «Sono fuori da un incubo ma non dalla disperazione. Finché non troveranno chi ha ucciso la mia ragazza, i sospetti continueranno a pesare su di me», sono state queste le poche frasi pronunciate da Alberto quando nel pomeriggio è tornato a casa sulla Volvo bianca guidata da mamma Elisabetta. «Vorrei che questa storia finisse, anche se la disperazione per Chiara uccisa non mi abbandonerà mai», ha aggiunto. Poi ha alzato il telefono e ha ringraziato il professore Angelo Giarda, l’avvocato di Milano che ha scritto la memoria difensiva accolta dal giudice. «Non ci sono vinti né vincitori. Abbiamo solo cercato di dimostrare la realtà. Alberto è innocente e noi continueremo a provarlo con la lealtà di sempre e della quale il pm deve dare atto. Le indagini vanno avanti, Alberto è ancora l’unico indagato ma non ha paura perché non è il colpevole», ha spiegato il professore. Nessun rancore da parte di Rita Poggi, la mamma di Chiara. Lei vuole l’assassino di sua figlia ma non ha mai messo in dubbio la parola di Alberto e lo ha sempre difeso: «Non volevo e non voglio che stia in carcere un innocente», ha fatto sapere attraverso l’avvocato Gianluigi Tizzoni. «Per noi non è importante trovare un colpevole. Vogliamo il colpevole». E si riparte da zero. di Cristiana Lodi 29 settembre 2007