Il codice sugli elmetti

Poliziotti schedati: così la Cgil no global vuole rendere riconoscibili gli agenti

Andrea Tempestini

Il disegno di legge, al Senato, è il numero 803. Con le «Disposizioni in materia di identificazione degli appartenenti alle Forze dell’ordine». Il cuore del provvedimento (sette articoli) è l’obbligo, per il «personale delle Forze di polizia» impegnato in servizio di ordine pubblico, di indossare un casco che riporti, «sui due lati e sulla parte posteriore, una sigla univoca che consenta l’identificazione dell’operatore». Il disegno di legge è firmato dai senatori di Sel e da due ex grillini, ma ad appoggiarlo è l’alleanza che sognava Pier Luigi Bersani: vendoliani più M5S più Pd. Con la benedizione della Cgil di Susanna Camusso, che da tempo attraverso il Silp, il sindacato di polizia di Corso d’Italia, chiede l’adozione di «codici alfanumerici ben precisi» per poter rendere «facilmente» riconoscibili i poliziotti. L’INPUT DI SUSANNA Sono gli stessi presentatori del disegno di legge, nella relazione introduttiva, a rivelare che «l’esigenza dell’identificazione è sollevata dal Silp». Del resto, scrivono i sette senatori di Sel (De Cristofaro, De Petris, Barozzino, Cervellini, Petraglia, Stefàno e Uras) e i due fuoriusciti grillini (Campanella e De Pin), l’attuale assetto delle Forze dell’ordine durante i servizi di ordine pubblico «ne impedisce il riconoscimento». Anche quando un poliziotto deve essere «indagato per comportamenti sanzionabili sul piano penale e disciplinare». Da qui la proposta di schedare le Forze di polizia, con «l’amministrazione di appartenenza» chiamata a tenere «un registro aggiornato degli agenti, funzionari, sottufficiali e ufficiali ai quali è stato assegnato il casco». Il disegno di legge, presentato il 6 giugno 2013, sta avanzando senza intoppi. La commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama ha iniziato l’esame ad agosto. L’ultima seduta dedicata al provvedimento è andata in scena il 2 dicembre scorso, con la discussione degli emendamenti. L’obiettivo è quello di andare in Aula al più presto, visto che il governo si è riservato di presentare in assemblea le sue proposte di modifica per introdurre un «sistema di garanzie simmetrico per tutelare sia i diritti dei cittadini che partecipino a manifestazioni, sia quelli degli esponenti delle Forze dell’ordine». Non proprio una chiusura, quella espressa in commissione dal viceministro dell’Interno, il pd Filippo Bubbico. «Eppure Angelino Alfano, il numero uno del Viminale, annunciò l’opposizione ai numeri identificativi per i poliziotti l’ultima volta a maggio. Perché oggi tace?», attacca Gianni Tonelli, segretario generale del Sindacato autonomo di polizia (Sap). L’iter accelerato è favorito dalla convergenza, sul testo base, di Pd e M5S. Sullo stesso tema, infatti, al Senato giacciono altri tre disegni di legge: due del M5S (a firma Scibona e Battista), uno del Pd (di Luigi Manconi). Una maggioranza ad hoc che ha fatto scattare l’allarme tra i sindacati di polizia (Silp escluso). «Il registro con i caschi numerati sarebbe a rischio: chi potrebbe scongiurare con certezza una fuga di notizie?», si chiede Tonelli. Per non parlare di quello che potrebbe accadere il giorno dopo eventuali scontri di piazza. «Ci sarebbero centinaia di segnalazioni, anche false, con relative denunce, che intaserebbero i tribunali. Si determinerebbe un clima di terrore, da caccia alle streghe, tra i colleghi. In un contesto di guerriglia è facile confondere un numero o una lettera...». Per il Sap la soluzione è installare le telecamere sui caschi degli agenti. «Invece i firmatari del ddl», denuncia Tonelli, «all’articolo 5 introducono il divieto, per il personale, di portare con sé strumenti non previsti o autorizzati dai regolamenti di servizio». Come le telecamere o le spy pen che il Sap, due anni fa, ha consegnato a tutela dei suoi 5mila iscritti impegnati nei servizi di ordine pubblico. Prescrizione che per Tonelli conferma il «carattere punitivo» della proposta all’esame di Palazzo Madama. CACCIA ALL’ARMA E non è finita qui. La Cgil, denuncia il generale Antonio Pappalardo, ex presidente del Cocer dei Carabinieri, avrebbe «già formato un organismo per assorbire al suo interno l’Arma». Tutto ruota intorno alle sentenze con le quali la Corte europea dei diritti dell’uomo, lo scorso 2 ottobre, ha invitato gli Stati membri «a concedere ai militari di organizzarsi sindacalmente». Corso d’Italia, rivela Pappalardo, starebbe pianificando la «piena sindacalizzazione confederale» delle «strutture militari» o, almeno, delle «Forze di polizia a ordinamento militare». di Tommaso Montesano