Il primo connazionale colpito da virus
Il medico italiano lotta con Ebola: e scatta il panico contagio
Ha febbre a 39, che regredisce all’assunzione di antipiretici, ma le sue condizioni di salute sono pressoché stabili. Fabrizio P., il 50enne medico infettivologo dell’ospedale Umberto I di Enna malato di Ebola è ricoverato all’ospedale Lazzaro Spallanzani di Roma, dove è arrivato ieri mattina dopo un volo di sei ore e mezzo a bordo di un Boeing KC-767 dell’Aeronautica militare. L’uomo comunica coi familiari attraverso sms, perché a causa della malattia non gli è consentito ricevere visite. Può incontrare solo i medici e gli infermieri che fanno parte del team di trenta persone messe a disposizione dall’istituto infettivologico nazionale. «Durante il volo» spiega il colonnello medico Ferdinando Arganese, dell’Aeronautica militare, capo team della squadra che è andata in Sierra Leone a prendere Fabrizio, «è stato sereno. Aveva una temperatura di 36.8 gradi ed è riuscito anche a dormire. Ci ha chiesto dell’acqua ed è stato tranquillo per tutto il volo. In passato avevamo fatto altre missioni in alto biocontenimento, questa era la prima intercontinentale, ma direi che è andato tutto bene. Paura del contagio? Non avrei scelto di fare questo lavoro. Certo, i rischi ci sono, ma i continui addestramenti che facciamo ci consentono di lavorare nel migliore dei modi». Il vero problema è in Sierra Leone, dove i 26 medici di Emergency lavorano a Lakka in condizioni critiche. Secondo fonti vicine all’ong i materiali scarseggerebbero e spesso le tute “usa e getta” verrebbero invece riutilizzate. L’altro ieri il cinquantenne aveva telefonato da lì proprio alla figlia maggiore, di 19 anni (ne ha una seconda di 18). «Tesoro stai tranquilla» le aveva detto, «è tutto sotto controllo. Mi sento bene e sarò assistito e curato nel migliore dei modi. Se ti sto parlando vuol dire che è tutto ok. Arriverò in Italia con tutte le precauzioni possibili». La moglie Tina, infermiera, s’è mostrata subito molto preoccupata e alla stampa locale ha riferito: «Ha chiamato un funzionario della Farnesina. Ha provato a tranquillizzarci anche se non ci è riuscito. Dicono che per noi per ora è meglio restare in Sicilia. Da quando è arrivato a Roma, Fabrizio ha inviato solo due sms, l’unico aggancio possibile con noi». Ma dallo Spallanzani il direttore scientifico Giuseppe Ippolito rassicura: «Gli consentiremo di parlare coi familiari via telefono». E spiega che Fabrizio ha già iniziato il trattamento con un farmaco antivirale specifico, non registrato, ma autorizzato con ordinanza di Aifa su indicazione del ministero della Salute. Si tratta di un medicinale già usato per trattare malati di Ebola negli Usa e in Europa, probabilmente per il caso spagnolo, il cui nome sarà rivelato solo a trattamento completato. Il decorso clinico sarà monitorato costantemente e ogni giorno sarà emesso un bollettino medico. «Il dottore» ha proseguito Ippolito, «è una persona di grande equilibrio e competenza. È stato portato in Italia per essere curato perché i programmi di trasporto in biocontenimento rientrano nei criteri previsti da un decreto interministeriale tra ministri della Salute, degli Esteri, della Difesa e degli Interni». Cecilia Strada, presidente di Emergency, ha spiegato che l’uomo era «alla sua prima esperienza in Sierra Leone, ma aveva già lavorato con Emergency. Era in Africa dal 18 ottobre». Esperto in malattie infettive, avrebbe concluso il suo turno il 28 novembre. Il reparto in cui è ora ricoverato ha solo 4 stanze per i malati da cui neanche l’aria può uscire, grazie a un particolare sistema di riciclo. Vi si arriva solo attraverso un ascensore con accesso diretto. Gli altri pazienti dello Spallanzani, insomma, possono star tranquilli. Così come possono esserlo anche gli abitanti del quartiere, terrorizzati dall’idea che a pochi passi da casa ci sia un contagiato da Ebola. Rita Cavallaro