Procreazione e giustizia

Utero in affitto, la Cassazione toglie alla coppia bresciana il figlio nato in Ucraina: "L'hanno comprato"

laura vezzo

La Corte Suprema ostacola il passo alla pratica della maternità surrogata: la Cassazione ha deciso di togliere il bambino di 3 anni a una coppia bresciana, che l'ha avuto in Ucraina da una madre "in affitto", adesso non ancora rintracciata. Il caso - La Cassazione ha detto "no" all'utero in affitto, come viene volgarmente chiamata la pratica della maternità surrogata e la possibilità di "comprare" un bambino, nato, anche all'estero, dall'utero di un'altra donna. Una coppia di Brescia ha perso la prima causa approdata alla Suprema corte sul riconoscimento di un figlio nato in Ucraina nel 2011 da una madre surrogata, che si è volontariamente prestata a soddisfare il desiderio di genitorialità di marito e moglie. Per effetto di questa decisione, con il via libero definitivo dei giudici, è stato dato in adozione il bambino della coppia, che non poteva avere figli e ai quali, per tre volte, era stata respinta la richiesta di adottare in Italia. "No" all'utero in affitto - In Italia non è riconosciuta la pratica della fecondazione extracorporea: i bambini, nati da una madre che affitta il suo utero, in Italia è come se fossero figli di nessuno e occorre trovargli una famiglia, dato che la coppia ha cercato di mentire sulla sua nascita. I giudici, con la sentenza numero 24.001, presidente Gabriella Luccioli e relatore Carlo De Chiara, hanno riconosciuto che, sebbene il Consiglio d'Europa su questo tema lasci i Paesi membri abbastanza liberi di darsi regole, tuttavia "l'ordinamento italiano, per il quale la madre è colei che partorisce, contiene un espresso divieto, rafforzato da sanzione penale, della surrogazione di maternità, ossia della pratica secondo cui una donna si presta ad avere una gravidanza e a partorire un figlio per un'altra donna". Fuorilegge in Italia e in Ucraina - Dalle indagini è subito emersa la sterilità di entrambi i coniugi: alla signora era stato asportato l'utero e l'uomo era affetto da oligospermia. La coppia ha rivelato che la madre "in affitto", una volta partorito, non aveva voluto che il suo nome figurasse sul certificato di nascita del bambino. Fatto sta che questa vicenda non è in regola nemmeno con la legge Ucraina, che prevede che almeno il 50% del patrimonio genetico appartenga alla coppia committente e che gli ovociti non siano della gestante. Comunque il parere della Suprema corte non sarebbe cambiato, data la totale contrarietà con la legge italiana. La Procura è discorde - Di diverso avviso è stata, invece, la Procura generale della Cassazione, rappresentata da Francesca Cerioni, che ha chiesto la revoca dello stato di adottabilità e la restituzione del bambino a quelli che si erano spacciati per i suoi veri genitori e che al loro rientro dall'Ucraina erano stati scoperti e denunciati per frode anagrafica. La richiesta è stata respinta.