La guerra è vicina
Jihad, i terroristi italiani: chi sono e le loro storie
L’odio per l’Occidente e il fallimento dell’integrazione. Ma quel che più inquieta è il movimento fondamentalista islamico diventato, ormai, di casa nostra. Al punto di spingere gli esperti a discutere e scrivere di jihadismo autoctono. Ossia di jihadisti italiani, residenti a Milano, Genova, Brescia, Cremona, Bergamo e anche o soprattutto in piccoli centri del Triveneto. Significa che i fanatici dell’islam e della guerra santa contro gli infedeli, quelli che per raggiungere il loro obiettivo non escludono il ricorso ad attentati e azioni terroristiche, nascono e vivono e si radicano e si evolvono in mezzo a noi. Lì, nella porta accanto. Lorenzo Vidino in una puntale ricerca pubblicata dall’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) con la prefazione di Stefano Dambruoso, per la prima volta, analizza il fenomeno in maniera scientifica. E racconta di soggetti che esercitano la loro militanza spasmodica su internet, in un contesto molto controverso sul piano della punibilità e della violazione del codice penale, a cause delle carenze di natura sia legislativa sia giurisprudenziale. Gli esperti descrivono casi emblematici (e di seguito li riportiamo) che dimostrano come alcuni membri (di fatto nostri concittadini) di questa scena jihadista, soltanto in apparenza informale, alla fine passino con molta facilità dalla militanza virtuale a quella nella vita reale. Gettando così un’ombra sinistra sul futuro del fenomeno. E sulla nostra sicurezza. Dato l’attivismo di molti network di origine nordafricana, l’Italia è stato uno dei primi Paesi europei a essere permeato da una presenza jihadista forte già nei primi Novanta, spiega Lorenzo Vidino. Ma è verso la prima decade del Duemila che le autorità italiane rilevano una radicalizzazione del jihadismo autoctono. MOHAMMED GAME Il segnale, l’indicazione forte di questo fenomeno, è il fallito attentato suicida a opera del libico Mohammed Game, arrivato in Italia in età adulta. Siamo a Milano, 12 ottobre 2009, caserma Santa Barbara. Alle 7 e 40, quando il cancello della porta carraia all’entrata principale si apre per fare entrare le macchine del personale di servizio. Un uomo cerca di superare la soglia a piedi. Vede le guardie all’ingresso, si china e fa esplodere una scatola nera che tiene sotto il braccio, urlando qualcosa in arabo e che nessuno comprende. Sarebbe stata una strage, se non fosse che l’esplosione di 4 chili e mezzo di triacetontriperossido (Tatp) che Game trasportava si era ridotta per via del cattivo stato di conservazione della sostanza e del basso potere d’innesco del detonatore. Lui, l’attentatore, si ferisce seriamente agli occhi e perde la mano destra. Feriti anche due soldati della caserma. Nonostante le ferite Game urla al primo poliziotto che arriva e lo soccorre: «Ve ne dovete andare via dall’Afghanistan! Mi chiamo Game e sono della Libia». Mohammed Game, nato a Bengasi nel 1974, era arrivato in Italia nel 2003, dopo aver studiato da perito elettronico nel suo Paese. Faceva lavori saltuari in nero e viveva in una casa occupata, senza bagno, dalle parti di San Siro, con una italiana che aveva sposato e i loro quattro figli. Il fratello Imad racconta agli inquirenti che Game frequenta la moschea di Viale Jenner ma che è accusato di essere un infedele perché non prega e non digiuna durante il ramadan. Passa le giornate sui siti jihadisti e non nasconde di voler compiere azioni suicide in Italia contro un autobus o un McDonald’s, asserendo che «così si guadagna il paradiso». La polizia scopre che ha salvato sul suo computer 788 file sul jihad. È affascinato dagli scritti di Abu Musab al-Suri, del quale scarica 185 file. Al-Suri è uno dei più celebrati ideologi del movimento jihadista globale, ed è noto per avere elaborato il concetto di resistenza senza leader e di jihad tramite terrorismo individualizzato. Mohammed Game segna l’arrivo del jihadismo autoctono in Italia. MOHAMMED JARMOUN Marzo 2012, la Digos di Brescia arresta Mohammed Jarmoune: ventenne di origini marocchine arriva in Italia quando ha sei anni e cresce nel Bresciano. A Milano è sospettato di pianificare un attacco contro la comunità ebraica. A maggio 2013 viene condannato a 5 anni e 4 mesi per avere diffuso materiale jihadista con fini di terrorismo. Date le sue caratteristiche (cresciuto e radicalizzato in Italia, molto attivo su internet, non connesso ad alcun gruppo), Jarmoune è considerato il primo caso “puro” di jihadista autoctono in Italia giudicato da un tribunale. Un’inchiesta connessa al caso Jarmoune (Operazione Niriya), terminata nel 2012, evidenzia l’esistenza di un network di simpatizzanti del jihad italiani, molti dei quali convertiti, sparsi per il territorio nazionale, che traducono e diffondono testi jihadisti su vari blog, forum online e social network. ANAS ABBOUBI Nel giugno del 2013 Digos e Ros arrestano un altro giovane di origini marocchine: Anas el Abboubi. Anche lui, come Jarmoune, cresce nel Bresciano, a Niardo, un tranquillo paese della Valcamonica. El Abboubi gestisce siti estremisti e ha molteplici profili su vari social network, viene accusato di disseminare materiale jihadista ed è sospettato di avere pianificato un attentato a Brescia. Rilasciato per ordine del Tribunale del riesame di Brescia dopo poche settimane, el Abboubi raggiunge la Siria, dove ora pare si sia unito al gruppo, legato ad al Qaeda, Stato islamico dell’Iraq e del Levante. Esce raramente, non va recava mai in alcuna moschea, non ha alcuna vita sociale, al punto che in paese lo chiamano “Mimmo il Timido”. I testi e i video che posta, variano da opere di vari jihadisti, quali il celebre trattato di Anwar al-Awlaki 44 modi per sostenere il jihad, che Jarmoune stesso traduce in italiano, a documenti di cui egli stesso è autore. Uno dei più estesi, ha per titolo: “Come torturare un musulmano”, e descrive come l’Occidente e la Cia in particolare avessero torturato musulmani e si chiude con l’esortazione: «Che Allah distrugga i loro stati e ponga terrore nei loro cuori, nei loro occhi!!». Soltanto una settimana dopo il suo arresto si è diffusa la notizia della morte di Ibrahim Giuliano Delnevo: genovese, 23 anni, convertito all’islam e partito per la Siria a combattere contro il regime di Assad nel novembre 2012. E subito dopo viene ucciso. La madre, Eva Guerriero, ancora oggi va e viene dalla Siria in cerca del corpo mai restituito. LA BOSNIA Da sempre l’indiscusso centro nevralgico del jihadismo in Italia è Milano con la moschea di viale Jenner, attiva fin dal 1988, quando uomini legati a stretto vincolo alla Gamaa islamiya egiziana ne prendono le redini. Milano è anche la città di Barbara Aisha Farina: a 22 anni si converte, indossa il niqab e gestisce siti in cui traduce in italiano testi jihadisti. Ma Milano è soprattutto la sede del centro culturale islamico che diventa strategico per il movimento jihadista globale durante il conflitto in Bosnia. Non solo l’imam del Centro, Anwar Shabaan, è leader del Battaglione dei Mujaheddin stranieri impegnati a difendere i musulmani bosniaci, ma il network milanese diviene fondamentale nel fornire documenti falsi e soldi per volontari di tutto il mondo che partecipano al conflitto. Sempre viale Jenner passerà alla storia per il primo attentato suicida di matrice jihadista in Europa: un’autobomba guidata da un egiziano residente a Milano esplode contro una caserma della polizia croata a Fiume/Rijeka. È il 1995. Unica vittima dell’attacco è l’attentatore stesso. di Cristiana Lodi