Decreto Renzi-Madia
Multe: i ricorsi diventano più costosi
Opporsi ad una multa ritenuta ingiusta sarà sempre più costoso, dal 25 giugno di quest’anno i ricorrenti dovranno versare 43 euro di contributo unificato anziché i 37 euro a cui erano abituati. È quanto prevede il decreto Renzi-Madia sulla pubblica amministrazione. L’art. 53 del dl 90/2014, infatti modifica il dpr 30 maggio 2002 alzando il contributo unificato di circa il 15% per tutti gli scaglioni, così il costo del ricorso sale a 43 euro per le cause di valore inferiore ai 1.100 euro, a 98 euro (anziché 85) per quelle superiori ai 1.100 euro, a 237 euro (anziché 206) per quelle superiori a 5.200 euro e così via fino a 1.686 euro (anziché 1.466) per i processi di valore superiore a 520.000 euro. Il risultato di queste «Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari» sarà quello di disincentivare i ricorsi, soprattutto per le multe con importo relativamente basso, e di lasciare ancora più potere di multare gli automobilisti a comuni e polizie locali. L’effetto combinato dell’aumento del contributo unificato e dello sconto sulle multe previsto dal «decreto Fare» è micidiale. Lo scorso anno infatti il governo Letta aveva previsto uno sconto del 30% sulle multe non contestate e pagate entro 5 giorni. Così una sosta vietata sui marciapiedi, se pagata immediatamente, è passata da 84 euro a 58,80 euro e un eccesso di velocità entro i 10k/h è sceso da 41 euro a 28,7 euro. Ciò vuol dire che il costo del contributo per ricorrere dal giudice di pace è diventato più alto della sanzione stessa, in pratica per ricorrere contro una multa prima bisognerà pagarne un’altra. Agli automobilisti conviene stare zitti e pagare, possibilmente in fretta. "Non si tratta degli unici aumenti - dice l’avvocato Silvio Boccalatte, ricercatore dell’Istituto Bruno Leoni - ad inizio anno da un giorno all’altro il bollo per iscrivere le cause a ruolo è stato aumentato del 330%, passando da 8 a 27 euro". Ma non basta perché è aumentata anche l’imposta di registro. "Il peso del contributo non si sente sulla causa da 150mila euro - prosegue Boccalatte - ma sulle cause di piccolo cabotaggio o quelle di valore indeterminabile, come le liti condominiali dove ci sono dei contributi unificati da far tremare i polsi". Al fondo dell’aumento dei costi per la giustizia ci sarebbe anche una motivazione valida, quella cioè di disincentivare l’uso del contenzioso per non sommergere di cause e fascicoli la macchina della giustizia, ma il problema è che i governi si sono fatti prendere un po’ troppo la mano facendo lievitare i costi dell’80% nell’arco di 5-6 anni. Il problema dei costi per poter far causa non impatta tanto i rapporti tra privati, che spesso scelgono altre soluzioni di compensazione o quantomeno interrompono i rapporti tra di loro, ciò che cambia profondamente è il rapporto con il pubblico che pone sempre di più il cittadino in una posizione di sudditanza: "Ormai non conviene fare ricorso - dice Boccalatte - è antieconomico, ma è già da due anni che è così". La cancellazione di fatto del diritto di difesa regala un’arma senza controllo nelle mani degli enti locali, che ormai da anni usano le contravvenzioni stradali come una leva fiscale, lo strumento più facile per tassare anche perché spesso colpisce non residenti e quindi non elettori. In teoria il diritto alla difesa non viene cancellato, perché il ricorso, anche se salato è sempre possibile. Ma anche se un contribuente scegliesse per principio di pagare più del costo della multa per fare ricorso e poi vincesse la causa, non è detto che non ci perderebbe comunque quattrini: «La norma generale è che chi perde paga, ma non funziona sempre così - spiega Boccalatte - perché spesso, soprattutto nelle cause contro gli enti pubblici, il giudice decide la compensazione delle spese anche se ti dà ragione». di Luciano Capone