Il federalismo è legge

Dario Mazzocchi

Per la Lega Nord è un giorno di festa: il federalismo fiscale è diventato legge con 154 voti a favore, 6 contrari e 87 astenuti dopo l’ultima votazione al Senato. A votare sì, oltre alla maggioranza, è stata l’Italia dei valori, mentre l’Udc ha detto no. Il gruppo del Partito democratico si è astenuto. Abbracci e strette di mano tra Umberto Bossi e gli altri ministri leghisti, anche con il ministro dell’Economia Tremonti e i colleghi Sacconi, Fitto e Vito. Una festa iniziata e colorata dai fazzoletti verdi sventolati dai senatori leghisti, non appena il presidente Schifani ha pronunciato le fatidiche parole: “Il Senato approva”. “E’ una svolta epocale, il provvedimento più importante di questa legislatura”, ha dichiarato il capogruppo della Lega Federico Bricolo. “I soldi delle tasse resteranno sul territorio, nessuno più deciderà a Roma come saranno spesi: saremo padroni in casa nostra”, ha proseguito. L’altro sì, come detto, è giunto dai banchi del partito di Antonio Di Pietro, ma il capogruppo Felice Belisario ha precisato che se “il senso del federalismo per noi è il richiamo al principio di responsabilità dei governi territoriali”, l’Idv “avrebbe voluto ulteriori ed importanti miglioramenti, ma le riforme impongono concessione reciproche”. Un avviso al governo: “Controlleremo il suo operato”. Per quanto riguarda il Pd, l’astensione non è stata univoca. Marco Follini, ad esempio, ha espresso il suo no: “Da qualche tempo la religione politica in voga nel nostro paese, una sorta di undicesimo comandamento, è il federalismo - ha spiegato - segnalo ai cultori di questo credo che la rigorosa osservanza di questo comandamento richiederebbe semmai di partire dal federalismo istituzionale e non da quello fiscale” Laconico anche il commento dell’Udc: la Lega non ha molto da festeggiare, quella di stasera “è una vittoria di Pirro”. L’obiettivo della riforma è quello di assicurare autonomia di entrata e spesa agli enti locali. Tra le misure previste dalla legge c’è la costituzione del nuovo ente “Roma capitale” che va a sostituirsi al comune, oltre alla creazione delle “Città metropolitane” di Milano, Torino, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria, che – come riportato esplicitamente nel testo – potrebbero anche sostituire le province con un referendum consultivo.