Le sopravvissute all'attentato di Brindisi

"Il giorno del botto avevo le lentiMi si sono sciolte negli occhi"

Matteo Legnani

  Selena  porta dei guanti bianchissimi. Di cotone. Come quelli dei camerieri. Sta per andare a trovare Azzurra in ospedale. Deve indossarli per proteggere la pelle appena rifatta dal sole. Sembra un paggetto con questo accessorio gentile, i capelli cortissimi, la faccia smagrita, gli occhi sorridenti, ma un po’ guardinghi.  Quasi non ci si crede quando Francesca, la mamma, racconta in che condizioni l’ha trovata il 19 maggio all’ospedale Perrino di Brindisi, (è uscita il 3 giugno scorso). Ferite all’orecchio, ai piedi, alle caviglie. Ustioni gravissime alle gambe, alle mani. Nella schiena, nella pancia, nel collo. E nel volto. In tutto il volto. «Le hanno dovuto fare un raschiamento in faccia per togliere tutto. Per fortuna sono stati bravi, non si vede tanto», dice, allungando una mano verso le gote della figlia.  Selena,  che in greco vuol dire luna, e sembra predire questa lontananza momentanea dal sole, accetta, docile, di mostrare quanto sono stati bravi i medici. Allunga il collo, lo ruota a destra e a sinistra, dove si vedono ancora i segni del fuoco. Ma i problemi più gravi, per ora, ce li ha alle caviglie e ai piedi. Infatti ogni tanto si muove con una stampella.  Incubi e paure - Selena era in classe con Melissa, morta il 19 maggio per quella follia senza ragione scatenata contro la scuola Morvillo-Falcone. Melissa era la sua migliore amica. Una di quelle amicizie totalizzanti, da superare i legami di sangue, che vivono solo le ragazze e solo a quella età. In sala, su un tavolino, ha una foto di loro due insieme. Le facce vicine, le espressioni maliziosette, come a sfidare il mondo. Sembrano dire: “Eccoci, adesso vi facciamo vedere chi siamo”. E invece il mondo, quello che si preparavano a gustare e sfidare, è venuto loro addosso. Con la furia irragionevole del male. E quell’aggressione continua. Anche ora. «La notte spesso sogno la scena di quel giorno. Appena sento dei rumori, dei passi, mi torna tutto in mente».  Per questo non vuole stare al buio. E non vuole dormire da sola, nella sua camera. Sta con la mamma, ogni notte. Ma anche alla luce non è facile. Di stare da sola, anche di giorno, non se ne parla. Nemmeno un momento. Nemmeno in bagno. «Quando deve andarci», dice Vincenzo, il padre, «bisogna che io stia fuori dalla porta».  La mamma proprio non se lo spiega. «Prima voleva stare sempre per conto suo, adesso non la si può lasciare un momento… Sta sempre in sala davanti alla tv o al computer, non esce più». Ma cos’ha questa figlia?   Selena fa un’espressione corrucciata, come i bambini quando gli adulti proprio non capiscono una banalità. «Non voglio stare da sola, è vero. Non lo so perché, è una sensazione così».  Le stranezze, che poi stranezze non sono affatto, solo la naturale reazione di fronte a una valanga di distruzione, non finiscono qui. La nonna, continua la mamma, abita di fronte a loro. «Ma lei da sola non ci va. Le devo far attraversare io la strada, se no, non c’è verso».  Per fortuna Selena ha un ragazzo, Rino. L’unica persona, oltre ai genitori, che accetta di vedere.  Mentre si parla, Francesco, il fratellino di 5 anni,  vivacissimo, le gira intorno, le tocca la testa, mostra su un cellulare le foto delle ferite della sorella, com’erano all’inizio.  Selena, invece, ascolta e si limita a chiosare con qualche frase veloce, di corsa.  Tornare a scuola - Le paure. L’ultima, la più difficile da affrontare, è di ritornare a scuola. Ha finito il secondo anno, a settembre deve iscriversi al terzo, indirizzo Servizi sociali. Vuole fare l’infermiera o la maestra d’asilo. «Ma non voglio più tornare là». All’Istituto Morvillo- Falcone, dove tutto è successo.  Lo dice con fermezza, come una decisione irrevocabile. Le diciamo che nel tempo le cose cambiano, magari fra un mese, due. Anche le altre ragazze, ferite come lei, torneranno. «Ma io parlo così perché ci sono entrata nella scuola, le altre no, non lo sanno». Alcune settimane fa, hanno inaugurato una targa in ricordo della sua amica, Melissa. Hanno chiesto a lei di scoprirla. Ed è ritornata. Ha rivisto l’incrocio con via Aldo Moro, il muro di recinzione. «Io non voglio tornarci e poi non mi va di vedere gli striscioni, i fiori…». Selena, quel giorno, era proprio accanto a Melissa. L’ha vista per terra, come una scena di guerra. Con lei è andata in ambulanza. Ed è stata lei a dire ai medici che l’amica soffriva di asma, che stessero attenti, la facessero respirare, perché ha anche quel problema lì. Le spese per le cure - I genitori la guardano, muti. Disarmati. Vincenzo fa il carpentiere in una ditta edile.  Quando lavora, arriva a prendere 1.300 euro al mese. Ma non sempre lavora. La crisi, in questo settore, si fa sentire anche qui. La mamma, invece, è casalinga. «Vedere questa figlia ridotta così per colpa di uno che non conosciamo nemmeno…».  E poi ci sono le spese da affrontare. Tira fuori una sporta con decine di creme, detergenti, trattamenti speciali. Perché per ora, e chissà per quanto, Selena non può nemmeno farsi la doccia. «Questa costa 37 euro, questa 40, quest’altra 27». Poi mostra un collirio. Al momento dell’esplosione aveva le lenti a contatto. Le si sono sciolte negli occhi, provocando danni che vanno seguiti. «Quest’altra crema serve per accelerare la ricreazione dei tessuti. L’abbiamo usata  due volte, è già finita».  Le spese e il tempo. Sono questi gli assilli. Ci vorranno mesi perché la pelle torni come prima. Perché non servano più creme e unguenti. Perché si possa fare la doccia, come tutti. Come prima. Selena, in questo, sembra meno angosciata. Ha quella forza di adattamento, di concentrazione nel presente, che brilla nei bambini.  Diventa triste solo quando si parla di Melissa o della scuola.  E di quei fiori appoggiati alla recinzione della scuola. Non li vuole vedere. di Elisa Calessi