L'intervista a "Gente"

La rivelazione dell'ex compagno:"Versace fu ucciso su commissione"

Andrea Tempestini

A 15 anni dall’assassinio di Gianni Versace a Miami, a riaprire il caso sul delitto è l’ex compagno dello stilista, Antonio D’Amico. In un’intervista al settimanale Gente in edicola domani, l’uomo con cui Versace ha convissuto per quindici anni ipotizza una regia «occulta» dietro l’uccisione.   «Non ho mai creduto alla tesi del mitomane» racconta D’Amico, «Cunanan (l’uomo considerato l’autore dell’omicidio, ndr), che né io né Gianni avevamo mai visto, ha agito su indicazioni altrui. In più il caso è stato chiuso troppo in fretta, gli americani volevano togliersi la patata bollente e la famiglia ha accettato la loro versione. Fosse stato per me, sarei andato avanti. Ma io, per la legge, non ero nessuno». L’ex fidanzato - che dopo anni di depressione oggi ha cominciato una nuova vita - è sempre stato convinto che la verità sulla morte dello stilista non sia mai emersa. Ma se per molto tempo ha scelto il silenzio, il solo parlare della sua relazione lo faceva star male, poi ha deciso di uscire allo scoperto scrivendo “al suo Gianni” una sorta di lunga lettera d’amore. Tradotta in un libro «It’s your song. Gianni Versace ed Antonio D’Amico, 15 anni di vita insieme».  Già l’assenza, quel vuoto incolmabile che nel 2002 l’ha persino spinto al suicidio. Anni duri quelli per D’Amico in cui, oltre al dolore per la perdita, ha dovuto combattere anche contro l’astio della famiglia per la questione eredità.  Ai tempi, infatti, lo stilista gli aveva lasciato un vitalizio e l’usufrutto di tutte le abitazioni - Gianni voleva il fidanzato e Allegra, la figlia di Donatella, eredi universali - ma visto che la bimba era ancora minorenne, i fratelli Versace prima ridiscussero e poi stravolsero quasi completamente le ultime volontà del famoso stilista. «Avrei dovuto lottare di più» dice, «cercare d’impormi, come quando decisero funerali solenni in Duomo mentre Gianni avrebbe preferito una cerimonia intima nella chiesa di Moltrasio. Ma non ero in grado di far scelte oculate, il mio unico pensiero era sopravvivere alla sua assenza». Ora le nuove dichiarazioni, sincere convizioni che gettano un’ombra inquietante su come, nel ’97, venne gestito il caso dalla polizia Usa. Che, a distanza di poche ore dall’uccisione di Versace e dal suicidio di Cunanan, chiusero il caso convincendo la famiglia a far cremare il corpo. Perchè tanta inspiegabile fretta nell’archiviare il delitto vista, per giunta, la notoretà del personaggio? Perchè non approfondire  i motivi che avrebbero spinto Cunanan a commettere il gesto?  Dubbi che oggi ridanno fiato anche alle dichiarazioni, mai sostenute da prove, del pentito della ’ndrangheta Filippo Di Bella, che ha rivelato che lo stilista fu assassinato a causa dei debiti nei confronti della mafia. E perchè allora non dar credito anche all’imprenditore e produttore cinematografico di Trento, Chicco Forti, che  dopo aver girato un documentario in cui sollevava parecchi dubbi sulle modalità del delitto è stato arrestato in Florida, accusato di omicidio per la morte di un altro