L'inchiesta

Nuzzi: mia veritàsul corvo in Vaticano

Eliana Giusto

È un’inchiesta tumultuosa quella che in Vaticano si sta portando avanti per dare un volto a chi ha passato le carte, i documenti spina dorsale del mio ultimo saggio, «Sua Santità». Di chi con coraggio ha deciso di far conoscere congiure, trame, affari, interessi nei Sacri Palazzi che possono persino imbarazzare. A iniziare dalle trattative tra Santa Sede e Giulio Tremonti, quando era ministro dell’Economia, per cambiare la legge sulle esenzioni Ici ed evitare che arrivasse la maxi-condanna dell’Unione europea contro il privilegio concesso sui beni della Chiesa. Questioni quindi, è bene dirlo subito, che non riguardano le  private faccende di porporati, i gusti sessuali di monsignori, peccati e amori. Ma che svelano la filigrana di storie che pescano nelle nostre tasche come  l’Ici o che o possono influenzare la nostra politica come gli incontri privati tra Ratzinger e politici italiani di primissimo piano. Con memorandum predisposti al Papa sulla modifica di leggi italiane. «Sua Santità» racconta queste storie non spinto da anticlericalismo, da  preconcetti o pregiudizi, ma solamente unendo e approfondendo fatti di cronaca. In gran parte inediti.  Le nuove accuse al maggiordomo del Papa: "Fotografava i documenti riservati"   Credo che nell’era di Internet, del villaggio globale, dobbiamo abituarci tutti che oltre alla comunicazione ufficiale, formale, dogmatica, possano uscire anche storie non controllabili. E questo vale in Italia, e dovrebbe valere anche in monarchie assolute come il Vaticano. Certo, i documenti imbarazzano, sono ruvidi, sbattono in faccia a tutti storie che si vorrebbe patrimonio di pochi. Penso ad esempio alle attività che 007 vaticani avrebbero compiuto sul nostro territorio, a Roma, nel quartiere Parioli, tra riprese fotografiche e pedinamenti. Questo lavoro non offende l’inviolabilità del territorio italiano? Come possono, investigatori di un paese straniero, indagare liberamente nel cuore di Roma? Provate solo a pensare se i nostri carabinieri andassero a svolgere indagini sotto la Torre Eiffel: che farebbe Hollande se non rispedirceli indietro? Mi immaginavo che qualche deputato gridasse allo scandalo colpito da questa ingerenza – ricordate il caso Abu Omar con la Cia che spadroneggiò e si portò via  il presunto terrorista? – Invece alcuni nostri parlamentari hanno chiesto il sequestro del libro (italiano) scritto da un giornalista italiano.  Gli arresti domiciliari comminati ieri a Paolo Gabriele, il maggiordomo del Santo Padre, sono così frutto di un piccolo miracolo. In poche ore, pochi giorni spunta un colpevole da offrire all’opinione pubblica per chiudere il caso: appunto, il maggiordomo, come in ogni romanzo giallo che si rispetti.   Questa storia me ne fa ricordare altre due. La prima: quella della scomparsa di Emanuela Orlandi. È dal 1983 che è sparita. Ci sono voluti 29 anni per scoperchiare la tomba del boss della Magliana Renato De Pedis nella basilica di Sant’Apollinare. Chissà quanti altri ce ne vorranno per trovare i colpevoli di questo sequestro e per dare una verità, un luogo di raccoglimento alla famiglia che piange. L’altra storia  è la strage delle guardie svizzere del 1998. Anche lì con il corpo del colonnello Alois Estermann e della moglie riversi nel sangue dal Vaticano in un lampo l’inchiesta individuò nella guardia Cedric Tornay l’assassino che poi si tolse la vita. Caso chiuso. Con una significativa differenza. Se per rispetto delle fonti, tutte, è evidente che nulla posso dire nello specifico (perché qualsiasi risposta violerebbe la tutela delle stesse, includendo o escludendo chicchessia), sarebbe ora di chiedersi perché chi gode di altissima fiducia tanto da poter accedere ad archivi con le carte del Papa ha deciso di violare questa fiducia per far conoscere a noi tutti queste vicende.  Non certo per popolarità, perché le mie fonti vivono nell’assoluto anonimato. Né per denaro, perché né io né l’editore abbiamo pagato alcuno. Allora, per far un favore a qualche cardinale? È possibile, sì: ma davvero uno si spinge a una scelta così radicale solo per un piccolo piacere a futura memoria? Ecco che prende consistenza l’ultima ipotesi: per amore di verità. E io come giornalista non avevo il dovere, oltre che di fare un servizio di cronaca, anche di aiutare a condividere le verità che mai si sono conosciute? O dovevo tenere queste carte nel cassetto della mia scrivania in redazione? E se, ancora, questi documenti parlano anche di vicende drammatiche, come la scomparsa della Orlandi, dovevo renderli pubblici o distruggerli? Via, la risposta è scontata ma non per chi, in queste ore e nei prossimi giorni, farà di tutto per far guardare il dito e non la luna. di Gianluigi Nuzzi