Appunto

Precari dentro: quelli che "se hai successo, è perché sei raccomandato"

Andrea Tempestini

  di Filippo Facci Metà degli insulti che ricevo via web, stringi stringi, dicono questo: «E tu che sei giornalista, chi ti ha raccomandato?». Ci pensavo mentre leggevo che un’invasata del Pd ha lanciato accuse straccionesche contro la figlia di Pietro Ichino (editor in Mondadori) e in generale contro i raccomandati che stanno «in posti che non gli competono». Diciamo questo: personalmente ho imparato che esistono vari tipi di raccomandati, fondamentalmente due: 1) Quelli bravi, che hanno avuto un’opportunità ma poi, in un ambiente sano, avanzano per meriti propri;  2) Quelli scarsi, destinati a vivacchiare solo in ambienti malati (spesso statali) ma che vengono emarginati o espulsi da quelli sani. Ora: a parte che Giulia Ichino è bravissima, colpisce questo: si considera scontato che posti come il suo «non le competono». L’anonimato internettiano ha amplificato una mentalità che furoreggia tra i grillini e tra i sinistri più incarogniti: la diffidenza verso chi ce la fa, il sospetto per ogni «successo» visto non come un esempio, ma come una manifestazione di ineguaglianza, come se la mediocrità fosse una forma di democrazia applicata - lo scriveva Antonio Polito nel suo libro «Contro i papà» - e come se il merito fosse una forma di arroganza. Metà degli insulti che ricevo dicono questo, in realtà: «Se hai successo è perché sei raccomandato, solo questo spiega perché io non ce l’ho fatta».