La ministra che deve cambiare lavoro
Una donna sòla al comando. Ci sarà un motivo se tutti i principali ministri di Monti, tranne uno, sono corteggiati dai partiti, e se l’eccezione riguarda proprio il ministro più visibile di tutti. Elsa Fornero è la conferma dell’oceano che separa l’essere famosi dall’essere apprezzati. Il ministro del Lavoro è l’unico componente del governo capace di mettere d’accordo maggioranza e opposizione, berlusconiani e vendoliani, colletti bianchi, camicie verdi e tute blu. Un disastro unanimemente riconosciuto. Non sai se preferirla quando tace sull’argomento mentre tutto attorno a lei crolla (ultimo esempio l’esplosione delle richieste per la cassa integrazione, che a marzo hanno interessato 455mila lavoratori) o quando apre bocca per farci sapere quello che pensa. Ieri se l’è presa con le famiglie che spendono soldi per acquistare una casa invece di investire sull’istruzione dei figli. «Bisogna considerare le priorità. Le case si possono lasciare ai figli, ma conta di più una struttura di conoscenza e flessibilità mentale, una adattabilità al cambiamento che solo la formazione può dare». Pensiero profondo, quello di preferire la «flessibilità mentale» al mattone. Persino condivisibile, ad avere i soldi per poterselo permettere. Ma preso atto che i laureati italiani di questi tempi vanno a fare i camerieri in Australia, e che grazie alle tasse messe dal governo di cui lei fa parte ormai il ceto medio non si può più permettere l’acquisto di una cantina, figuriamoci di una casa, e visto che la signora dispone di un reddito (402mila euro nel 2010, che nel 2012 scenderanno a 199mila, più diaria mensile da 130 euro e giornaliera da 225 euro in caso di presenza a Roma), di un patrimonio immobiliare (case a Torino, Courmayeur e San Carlo Canavese) e di una situazione familiare non proprio comuni (la figlia è tanto brava da essere ricercatore universitario, casualmente nell’ateneo in cui insegnano i suoi genitori, e responsabile di un’unità di ricerca della Hugef, fondazione incidentalmente finanziata da Banca Intesa, della quale l’attuale ministro è stata dirigente sino a pochi mesi fa), un po’ di silenzio sarebbe stato preferibile. Magari in segno di rispetto verso i milioni di famiglie con meno soldi in banca e meno opportunità parentali di quella del ministro, che si fanno un sedere così per mettere assieme il mutuo con le tasse. Ma la signora, che prova un brivido a pronunciare espressioni come «paccata di miliardi», non è tipo da simili delicatezze. Di solito, comunque, ne spara di peggiori: si vede che ieri non era in forma. Forse perché nella sua Torino è stata accolta dalle uova lanciate da studenti e disobbedienti di sinistra (gli stessi scesi in piazza a festeggiare quando lei e Mario Monti erano andati al governo al posto di Silvio Berlusconi e Maurizio Sacconi: sic transit gloria mundi). Ma la notizia non è la contestazione: è il fatto che nessun ministro abbia aperto bocca per dire mezza parola in sua difesa. E dal Parlamento, eccezione fatta per Pier Ferdinando Casini, solidarietà zero. In compenso hanno parlato gli agenti che l’hanno protetta in piazza. I quali non se la sono presa con i teppisti (quelli sono previsti nel contratto di lavoro), ma con lei (un ministro ostile no, non fa parte dei giochi). «I poliziotti torinesi si sono presi pietre e uova per difendere la signora Fornero. Dovrebbe essere sufficiente questo», ha attaccato Massimo Montebove, dirigente del sindacato di polizia Sap, «per far capire al ministro che non può continuare a tirare la corda anche con gli operatori delle forze dell’ordine, soprattutto in materia pensionistica». Cresciuta nel brodo elitario dell’azionismo sabaudo, aveva su un piatto d’argento l’occasione per fare la Margaret Thatcher italiana, che poi è quello di cui questo Paese ha bisogno. Per qualche giorno ci abbiamo creduto un po’ tutti. Passerà invece alla storia come l’ennesimo tecnico atterrato nel centro di Roma proveniente da Marte, troppo impegnato a stupirsi dinanzi alla vita dei comuni esseri umani per combinare alcunché. Una sequela di gaffe: dal giorno in cui si presentò in conferenza stampa assieme al premier per iniettare ottimismo e fiducia negli italiani terrorizzati dall’incubo greco, e scoppiò a piangere in pubblico (col senno di poi, una delle tragedie minori), all’accusa alle imprese di essere esse, e non il governo che ha cambiato le regole in corsa, responsabili per la creazione degli esodati, i lavoratori prepensionati che non potranno ricevere l’assegno Inps a causa della riforma della previdenza scritta - oops! - senza pensare a loro. E soprattutto una retromarcia dopo l’altra, inesauribili fonti di barzellette per gli altri ministri. Come il ticket sugli esami clinici, ripristinato a carico dei disoccupati e cancellato dinanzi alla reazione dei sindacati e del Pd, attribuendone la colpa a «un refuso». Le innumerevoli giravolte sulla riforma dell’articolo 18 che hanno fatto infuriare imprese e sindacati (a turno, ma talvolta anche insieme). La toppa messa nelle ultime ore sugli esodati, che adesso il ministro conta confusamente di far reintegrare dalle aziende, le quali però non hanno alcuna voglia di riprenderseli. Col risultato che la signora Fornero propone di aprire l’ennesimo tavolo di trattative tra le parti sociali. Un copione collaudato secondo cui, dopo tanto litigare, la soluzione a ogni problema viene trovata mettendola a carico del solito Pantalone: il contribuente. La Thatcher è sempre più lontana, i soldi per fare laureare i figli pure. Figuriamoci il rogito per la casa. di Fausto Carioti