La pazza idea
Zaia sogna il Veneto libero: studia il referendum sulla secessione
di Matteo Mion Chi pensa che il Veneto assista inerme alla demolizione del suo prodotto interno lordo perpetrata dal governo Monti si sbaglia di grosso. Il miracolo Nordest si è trasformato negli ultimi anni nel disfacimento della borghesia e della piccola media impresa. La desertificazione colpisce intere zone industriali e centri direzionali dove le insegne commerciali sono state sostituite in poco tempo dai cartelli Vendesi o Affitasi. Il furore gabelliero dell’esecutivo ha piegato definitivamente la resistenza della regione serenissima. Così quel sentimento autonomista fino a qualche tempo addietro appartenente a una ristretta cerchia di veneti, oggi è visto da molti come l’unica scappatoia possibile alla vessazione dello stato centrale. Ne è esempio lampante la lettera del governatore Zaia da cui si evince la ricerca di una via democratica per raggiungere «l’indipendenza del popolo veneto dal resto della repubblica». Pulsione che proviene non da frange di scalmanati razzisti, ma, come scrive il governatore nella missiva indirizzata al Presidente del Consiglio regionale, da «incontri con cittadini, privati associati, formazioni sociali e vari organismi di pubblica rappresentanza». Zaia desidera approfondire eventualmente anche con il supporto di un parere dell’ufficio legislativo regionale se il referendum consultivo possa essere la via giuridicamente corretta per affermare, in caso di esito positivo, l’autonomia del Veneto dall’Italia. Abbandonata la politica strillata di «Roma ladrona» scivolata su una buccia di Trota, la Lega cerca in Veneto un appiglio normativo per assecondare non solo la volontà popolare, ma anche quel principio di diritto internazionale che impone la tutela delle minoranze. Viene il dubbio che tale operazione possa avere un carattere speculativo elettorale in vista delle ormai prossime consultazioni, ma, qualunque sia il primum movens della missiva a firma del dott. Zaia, rimane il fatto che il Veneto non ha più voglia di scherzare. Il sentimento indipendentista di una delle regioni più produttive d’Italia non è più liquidabile dallo stato centrale con una battuta di spirito. Al pari è pericoloso imbrigliarlo e incatenarlo alle norme costituzionali che impongono obtorto collo l’unità della nazione. Il prezzo da pagare per non sentirsi sempre e solo diversamente italiani è ormai insostenibile. Il referendum consultivo, se mai si terrà e ne dubitiamo seriamente, non potrà che confermare che nessuno rimane seduto a un tavolo dove mangiano solo gli altri commensali e il conto si paga «alla romana». www.matteomion.com