Il caso

Strasburgo boccia la legge 40: sì alla diagnosi preimpianto

Giulio Bucchi

La Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha bocciato un articolo della legge italiana 40 sulla fecondazione assistita. La sentenza riguarda il ricorso di una coppia italiana fertile ma portatrice sana di fibrosi cistica contro il divieto di accedere alla diagnosi preimpianto degli embrioni. Attualmente la legge prevede che le copppie portatrici di malattie genetiche gravi possano accedere alla fecondazione assistita solo se infertili. I sette magistrati hanno condannato lo Stato italiano a pagare 15mila euro per danni morali e 2.500 per le spese legali per la violazione del diritto al rispetto per la vita privata e familiare della coppia italiana. Il caso - La coppia italiana che ha fatto ricorso a Strasburgo nell'ottobre 2010 è quella formata da Rosetta Costa e Walter Pavan, che nel 2006 alla nascita del loro primo figlio affetto da fibrosi cistica, scoprirono di essere entrambi portatori sani. In una situazione simile, la possibilità che futuri figli nascessero affetti da fibrosi cistica era pari al 25 per cento, il 50% quelle di avere un figlio portatore sano, come i genitori. La diagnosi preimpianto è pratica vietata dalla legge italiana. Da qui il ricorso della coppia, secondo cui la legge italiana vieta il diritto al rispetto della vita privata e familiare e sarebbe discriminatoria rispetto alle coppie sterili e quelle in cui l'uomo ha una malattia sessualmente trasmissibile. Già nel novembre 2011 la Corte di Strasburgo aveva stabilito che ricorrere alla fecondazione in vitro eterologa non è più una violazione della Convenzione europea dei diritti.