Colpevoli di mancata omertà
Lombardo senza vergogna:vuole che gli tappiamo il buco
di Massimo De' Manzoni L’abitudine degli amministratori siciliani a sperperare soldi pubblici (quindi non loro ma nostri) è talmente inveterata che hanno finito per perdere il senso della misura. Così la giunta siciliana guidata dall’ineffabile Raffaele Lombardo, l’ex democristiano indagato per mafia, ha deliberato di chiedere un miliardo di euro di risarcimento danni a Libero e al Giornale. Un miliardo di euro! Una somma insensata per i comuni mortali, ma evidentemente non per chi è abituato a vedere senza battere ciglio cifre a nove zeri nei bilanci in rosso dell’ente che amministra. Già, perché il problema è proprio questo: Lombardo & C ci querelano per aver noi scritto il vero, cioè che la Regione Siciliana è sull’orlo del fallimento. Un fatto difficilmente contestabile, certificato dai numeri (17,3 miliardi di passività, 5 miliardi di debiti, 600 milioni di fondi bloccati dalla Ue a fronte di 15 miliardi contabilizzati ma di riscossione praticamente impossibile) e testimoniato dagli allarmi della Corte dei Conti e dello stesso governo, che nei giorni scorsi è intervenuto pesantemente ipotizzando l’invio di un commissario. Ieri, ciliegina sulla torta, l’agenzia Standard&Poor’s ha sospeso il rating della Sicilia a causa della mancanza di informazioni sufficienti a garantire un’adeguata vigilanza. Insomma, il disastro è certificato, ma chi ha contribuito a causarlo non vuole che si sappia e denuncia chi si macchia della colpa di renderlo noto all’opinione pubblica. Immaginiamo che le fervide menti di Palazzo dei Normanni in queste ore stiano studiando la possibilità di trascinare in tribunale pure l’agenzia di rating americana, la Corte dei Conti, la Ragioneria Generale dello Stato, lo stesso Mario Monti e, perché no, la Commissione europea. Tutti a vario titolo responsabili di mancata omertà sui conti della Regione brillantemente condotta verso il precipizio da Raffaele Lombardo, negli intervalli di tempo lasciatigli dal frenetico cambio di maggioranze politiche: cinque in quattro anni. In effetti, se chiedono un miliardo a un’aziendina editoriale come la nostra, pensate quali ben più consistenti risarcimenti potrebbero aspirare di ottenere dalla potente S&P, dallo Stato italiano, dall’Europa intera. Altro che ripianare il bilancio: davanti a loro si spalancherebbero lustri di bengodi senza freni. Oddio, è vero che in termini di sciali è difficile fare di più di quel che hanno fatto finora, ma mai mettere limiti alla creatività di certi amministratori. Si sono inventati i «camminatori», pagati per spostare le pratiche da una scrivania all’altra, hanno saldato senza fare una piega decine di ore di straordinario a dipendenti incaricati di spalare la neve in agosto a Palermo, volete che non riescano a tirar fuori dal cilindro qualche altro modo di gettare al vento i nostri quattrini? Suvvia, un po’ di fiducia. «Ma voi ci avete danneggiato», si lamenta l’assessore Gaetano Armao, che blatera di procurato allarme finanziario: «Dobbiamo contrarre un mutuo da 200 milioni di euro e i tassi di interesse possono crescere a causa di queste voci». Certo, noi li abbiamo danneggiati. Non il fatto che abbiano quasi 20mila dipendenti (a fronte dei tremila della Lombardia), non il fatto che ci sia un dirigente ogni otto persone contro una media nazionale di uno ogni 50, non il fatto che il loro consiglio regionale costi quasi il triplo di quello lombardo, non il fatto che abbiano otto volte più autoblù del Veneto, non il fatto che abbiano 28mila forestali (cioè quanti l’intero, immenso Canada) per 2.500 chilometri quadrati di boschi, peraltro regolarmente flagellati dagli incendi dolosi. No, tutto questo non danneggia la Sicilia. Sono le notizie a fare male: è tutto vero, ma basta che non si sappia. E del resto, cominciare a tagliare un po’ di spese pazze costa troppa fatica. E pericoli, pure: manca mai che qualcuno alla fine si metta in testa di sforbiciare persino i 15.683 euro netti al mese più benefit che spettano al presidente. Meglio querelare e sperare che qualche giudice abbocchi. Siamo in Italia, hai visto mai…