Nostalgici e delusi

Tra i dubbiosi e i dissidentic'è chi vuole tenersi il Pdl

Andrea Tempestini

  di Paolo Emilio Russo Silvio Berlusconi vuole dare al Pdl un nuovo nome e un altro simbolo. Dopo ricerche e indagini di mercato l’ex premier si sarebbe orientato ad un clamoroso ritorno a Forza Italia e alla bandierina tricolore. Non tutti, però, sembrano disposti a seguirlo. Stavolta no.  Per questa ragione c’è chi sta già studiando la possibilità di mantenere in vita il Pdl e il suo simbolo, il partito che il Cavaliere ha deciso di dismettere. «Il ritorno a Forza Italia sarebbe oggettivamente un passo indietro», dice Gianfranco Rotondi. A non piacere sono soprattutto la marcia indietro rispetto all’adesione al Partito popolare europeo, oltre che i rischi di una «operazione avventurosa». L’ex ministro per l’Attuazione del programma non è un dirigente qualunque, ma uno dei tre co-fondatori del Popolo della libertà. Nome e simbolo, infatti, sono intestati a Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini e a lui, che guidava la pattuglia democristiana entrata nel contenitore berlusconiano. «Fini ha già fondato un altro partito, se anche Berlusconi fa lo stesso, il partito lo tengo io, so cosa farmene», ammette. A cosa si riferisca è addirittura ovvio: «Un partito intestato al popolarismo di ispirazione cristiana e liberale».  Pronti a seguirlo sarebbero molti dei compagni di strada dell’ultimo decennio, tutti cattolici, tutti democristiani: Carlo Giovanardi, Mauro Cutrufo per dirne due. Della pattuglia democristiana fanno parte almeno una dozzina di parlamentari. «Non penso che il Cavaliere decida davvero di rottamare il partito, vada oltre il comprensibile cambio di simbolo. Ma, nel caso, sono pronto: ho già ereditato la Democrazia cristiana senza imbarazzo, figuriamoci se non eredito volentieri il Pdl», conclude.  Il ritorno a Forza Italia entusiasma gli azzurri della prima ora, ma mette in difficoltà anche molti ex aennini, che aspettano però l’annuncio ufficiale: è il caso di Maurizio Gasparri e Ignazio La Russa. Loro, come Gianni Alemanno, ai tempi di Forza Italia erano “colonnelli” di un altro partito. Quest’ultimo, sindaco di Roma, ha scelto un’altra linea: nessuna obiezione al superamento del Pdl, ma primarie. «Berlusconi è un fondatore indispensabile del nostro partito, ma continuo a pensare che le primarie siano un passaggio ineludibile per il centrodestra, non solo per il Pdl», ha detto Alemanno. «Le primarie sono ancora utili, anche adesso, con la ridiscesa in campo annunciata del Cavaliere», conferma Barbara Saltamartini. «Il passaggio delle primarie può essere utile per dare una nuova legittimazione democratica alla corsa dell’ex premier verso Palazzo Chigi», aggiunge la deputata, «e sono anche un modo per dire che noi siamo persone serie, manteniamo le promesse, non facciamo come il Pd che, invece, sta prendendo tempo». Berlusconi dirà sì o no la settimana prossima quando è in programma un ufficio di presidenza del partito, a Palazzo Grazioli. Nessuno degli ex An, comunque, sembra intenzionato a rompere. «Siamo nel Pdl, il nostro partito, e qui restiamo, non esiste alcuna ipotesi di scissione», garantisce Saltamartini.  Se ne andrà, invece, Giorgio Stracquadanio. Deputato pasdaran, autore di slogan efficaci come quello sul “trattamento Boffo”, aveva rotto col Cavaliere già a novembre, poco prima delle dimissioni del governo, annunciando che non avrebbe votato la fiducia. Ieri ha annunciato ufficialmente dalle colonne del Corriere di volersene andare: «Ho perso la mia battaglia, non mi resta che trarne le conseguenze: lascio il Pdl. Berlusconi è al tramonto e la sua ricandidatura è la conferma che il Pdl non esiste», ha spiegato. Da lunedì sarà iscritto al Gruppo Misto alla Camera. Non è escluso che altri deputati, specie quelli col posto in lista a rischio, possano seguire l’esempio. I riflettori sono puntati soprattutto su Beppe Pisanu, che sarebbe una perdita simbolica importante. Ma pare che l’ex ministro dell’Interno non voglia fare alcuna mossa fino a settembre, quando lo scenario politico sarà più chiaro.