"Salviamo la Tommasida sè e dagli avvoltoiSi sta autodistruggendo"
C’è stato un periodo in cui Sara Tommasi divertiva anche me. In cui mi facevo grasse risate nel leggere i suoi sms deliranti o nel vederla smutandata a blaterare di signoraggio bancario. Voglio dire, certi suoi sms a Paolo e Silvio Berlusconi tipo «Se io mi devo kurare, tu piantala con cocaina, kani e mignotte» o «Riprendi subito Ronaldinho nella tua squadra di merda o ti faccio escludere da Obama e dai grandi del mondo» restano delle pietre miliari nella mitologia del Rubygate. Roba che ancora oggi la gente si chiede il perché la Boccassini non abbia convocato neppure un carlino come persona informata sui fatti o perché Obama non utilizzi il video in cui è travestita da Bin Laden per scoraggiare il terrorismo internazionale. Trovavo Sara un’esilarante mina vagante nell’harem delle sgallettate scaltre, compiacenti e telecomandate, con questa sua incosciente mitomania e con certe interviste spericolate. E lo ammetto. La battuta pecoreccia sulla sua laurea alla Bocconi o sulla sua patonza più glabra della pelata di Mazzocchi, l’ho fatta anche io. Poi c’è stato un momento preciso in cui ho smesso di ridere. In cui la faccenda ha smesso di essere naif e ha assunto contorni deprimenti, squallidi, penosi. In cui la storia ha finito di divertirmi e ha cominciato a inquietarmi. Da quel momento, per me, Sara Tommasi ha smesso di essere zimbello ed è diventata caso umano. È successo quando l’ho vista. Era in un bar romano e aveva delle calze autoreggenti nere, che finivano dove cominciava l’orlo della minigonna. Pochi minuti dopo si sarebbe tirata su quella gonna davanti al famoso bancomat e avrebbe scoperto il sedere nudo, finendo su giornali e tg come una simpatica e sgangherata nota di colore nell’austerità del momento. Lì ho capito che la questione era preoccupante. Certo, già il fatto che una ragazza scelga di spogliarsi per Domenico Scilipoti ha un che di allarmante, ma ad allarmarmi quel giorno furono i suoi occhi molto più che il gesto o la mise da lapdancer ubriaca. Furono i suoi occhi smorti, vuoti. E quello sguardo che ti trapassa e va oltre, come i fantasmi da clichè cinematografico. Nella mia testa allora s’è composto un puzzle preciso. Una ragazza giovane e bella, con uno straccio di popolarità e una laurea in economia, non sceglie scientificamente di disintegrare la propria esistenza, la propria reputazione, la propria sfera affettiva e relazionale in quella maniera folle e suicida. Non sta trasgredendo, rompendo le regole, destabilizzando il potere. Si sta autodistruggendo. E allora ho ripensato ai suoi racconti farneticanti, al suo sospettare di avere microchip addosso, alla gente che la toccava al supermercato per drogarla, alle sue ammissioni sulla bulimia sessuale, ai suoi «Se uno mi sta simpatico allargo le gambe» e le spie, la droga, i servizi segreti, l’esibizionismo, Bin Laden e Grillo tatuato sulle chiappe. Secondo voi Sara Tommasi ci è o ci fa? Vota il sondaggio di liberoquotidiano.it E ho capito che questa ragazza, non va derisa, va aiutata. Che questa ragazza, che santa probabilmente non è mai stata, che in passato avrà forse scelto coscientemente di prendere qualche scorciatoia e di inquinarsi l’anima per qualche ambizione cretina, oggi non sceglie un bel niente. È un burattino i cui fili sono mossi a turno dalla sua drammatica alienazione e dai cinici approfittatori che vanno a beccare come avvoltoi sulla carcassa di una ragazza fragile. E non si può far finta di non sapere e di non vedere. Le persone che le sono state vicine e che ancora oggi la vedono sempre più sporadicamente, raccontano episodi che non sono per niente rassicuranti. Parlano di un padre che non è in grado di aiutarla e di una madre che due anni fa l’ha convinta a farsi seguire da alcuni specialisti vicino Bologna. Dicono che Sara stava meglio, ma che poi ha smesso di farsi aiutare. Che nessuno la può costringere, se lei non vuole. Girano aneddoti inquietanti sul suo corpo che sarebbe spesso ricoperto di lividi, sulla sua insonnia patologica, su suoi bizzarri approcci con l’altro sesso su taxi e treni, sul suo girare senza slip ovunque, su sms assillanti (si dice in particolar modo a Fabrizio Corona), sul linguaggio sboccato. Se ne parla poco, pubblicamente, per pudore. Quello stesso pudore però non impedisce a stampa e tv di parlare della nuova pellicola hard di Sara Tommasi, che è solo il punto più basso e deprimente di questa triste parabola il cui finale mi preoccupa non poco. Si intitola «Sara contro tutti», il suo film porno, ma forse avrebbe avuto quella punta di realismo che tanto piace agli appassionati del genere , se l’avessero intitolato «Tutti contro Sara», dove quei «tutti» sono coloro che si stanno rendendo complici di questa squallida storia. Dove «tutti» sono i calciatori, gli imprenditori, gli attori di fama che riempiono due ore della loro vuota vita con Sara e sgattaiolano da casa sua nel cuore della notte per non essere visti e giudicati. E che poi quando Sara spiffera tutto, le danno della pazza visionaria. Ma i «tutti» sono anche i giornalisti che continuano a trattarla come un’attrazione da circo, come una simpatica mina vagante, come lo spunto per un articolo di costume. Come Vauro, che le fa fare il giochino scemo della maglietta bagnata per vendere mezza copia in più del suo giornale. Come quei produttori di film porno che hanno comprato quello straccio di dignità che le era rimasto per fare due soldi con la mortificazione finale, del corpo e dello spirito, con l’umiliazione che la marchierà a vita. Quella con cui Sara Tommasi farà i conti per sempre e che forse non si perdonerà mai, quando ritroverà se stessa. E chiunque continui a trattare Sara Tommasi come materiale da Bagaglino, fa a sua volta pornografia sulla pelle di questa ragazza, una pornografia ancora più squallida di quella da scantinato. Quella di chi scarnifica una ragazza già nuda da tempo e che chiama vizio o «trash» ciò che è solo un disperato bisogno di aiuto. di Selvaggia Lucarelli