Una vita con Vantaggiato
Nella testa e nel cuore delle tre donne del mostro di Brindisi
Io alle mogli distratte non c’ho mai creduto. Non ho mai creduto alle donne che non si accorgono di amanti e doppie vite, di goffe coperture, di bipolarismi affettivi e di ambiguità che non lasciano tracce nel quotidiano. Mai. Perchè so come siamo noi donne. Attente, vigili, con un talento vivace nel percepire segnali e indizi quando qualcosa minaccia il territorio delle cose amate e conosciute. Gli uomini si fanno fregare più facilmente per la loro genetica predisposizione a ignorare il dettaglio, ma le donne si accorgono di tutto. E dopo anni insieme ad un uomo, diventano capaci di orientarsi nella sfera nel non detto con un’agilità sorprendente. Sono lì che stirano e correggono i compiti ai figli e preparano la cena e tornano esauste dal lavoro, ma mentre i mariti si accorgono al massimo della macchia d’umidità sul soffitto, loro registrano silenzi sospetti, strane inappetenze, commenti distratti, cupezze improvvise. E la vaghezza. Negli sguardi, nelle risposte, nei racconti della banalità del quotidiano. Questa capacità tipicamente femminile, unita a due antiche zavorre di retaggio maschilista quali la capacità di sopportazione e la sottomissione nei confronti di certi mariti padroni, ci rende talvolta capaci di complicità piccole e mostruose. Donne che fingono di non sapere dell’amante, di qualche vizietto da bar, ma anche donne che coprono attività criminali, che minimizzano violenze domestiche, che restano salde accanto al marito anche quando si macchia delle peggiori colpe, nel tentativo estremo di salvare marito e apparenza, di non staccare dal muro il disegnino a tempera della famigliola irreprensibile. Dice poche cose, in questi giorni, la moglie di Giovanni Vantaggiato. Si chiama Giuseppina Marchello e non è solo la moglie del “mostro di Brindisi”, ma è la donna che per qualche decina di anni a Giovanni ha stirato le camicie e scaldato la cena. E’ la donna con cui Giovanni ha cresciuto due figlie, ha mandato avanti un’attività, ha litigato, gioito, fatto la spesa e l’amore nelle lenzuola inamidate, visto la tv prima di dormire e pagato le bollette. E’ la moglie di una vita, in un piccolo paesino del sud, in cui sai tutto del tuo vicino di casa, figuriamoci di tuo marito. Giuseppina però, dice che non sapeva. Che non aveva mai sospettato nulla, neppure quando ha visto il video dell’attentatore. Che se davvero è lui il colpevole, è un gesto di pazzia. Aggiunge che quelle notte in cui il marito andò a piazzare le bombole nel cassonetto, lei si era addormentata davanti alla tv e non lo sentì rientrare. Dice che gli sembra incredibile che il marito fosse capace di preparare una bomba. Poi chiama l’avvocato e lascia un messaggio per Giovanni: “Dica a mio marito solo questo: io e le nostre figlie gli saremo sempre vicine”. Gli investigatori, al momento, le credono. E bisogna crederle, fino a prova contraria, perchè prove che lei sapesse non ce ne sono. Già. Resta però il fatto che io alle donne distratte faccio fatica a credere. E qui non si parla di una distrazione durante una manovra nel parcheggio sotto casa. Ci sono tanti elementi nelle frasi smozzicate della signora Giuseppina a cui noi donne crederemo con fatica. Perchè dopo tanti anni, di tuo marito, conosci ogni piccolo tic e piega del volto, conosci la gestualità e la camminata, sai a memoria cos’ha nel guardaroba, i colori dei calzini, le cuciture dei pantaloni. E nella frenesia della caccia a un mostro che ha agito a poca distanza da casa tua, tu guardi un video e non riconosci, di quell’uomo, la faccia, i capelli, l’andatura, i vestiti che gli hai steso tante volte al sole. La sera in cui è uscito ti sei addormentata guardando la tv, come uno studentello randagio all’Erasmus. Ti stupisci all’idea che tuo marito abbia competenze tecniche, che sia in grado di maneggiare fili e gas, e anche qui noi donne facciamo un grande sforzo nel credere alla signora Giuseppina. Perchè i mariti che sanno distinguere un filo della corrente dal filo per l’arrosto sono merce rara e quando li troviamo li sappiamo riconoscere. Si fatica, e tanto, a credere allo stupore tardivo di certe mogli di una vita, ma ci si può appellare a ingenuità, meccanismi di rimozione, cecità dettata da legami feroci. Quello che è inaccettabile, da donna, è l’idea che di fronte all’atrocità di un gesto che è costato la vita a una ragazza di sedici anni e all’evidenza di una verità così oscena, la moglie di una vita non recida il legame con un colpo secco, non pronunci parole chiare, di dolore, di condanna, di disprezzo per l’uomo di cui conosceva il respiro nel sonno e di cui ignorava l’orrore dell’astio covato. Ha detto: “Non può essere stato il Giovanni che conoscevo io”, Giuseppina. Come a voler negare, fino alla fine, che il mostro sia suo marito. Come a voler credere che il colpevole sia un estraneo, un altro Giovanni, un uomo che non infilava le chiavi nella toppa della loro casa, la sera. E invece lo doveva dire senza alibi e appigli , la signora Giuseppina: “Mio marito, l’uomo che conoscevo così bene, è un assassino”. E la telefonata all’avvocato, il chiedere di riferire che rimarrà vicina al marito, è un atto di complicità estrema, che ha dell’osceno. Giovanni, doveva saperlo bene, che la moglie gli sarebbe rimasta accanto sempre. Che non lo avrebbe abbandonato neppure nell’orrore. In fondo, quando ha capito che il momento della verità era vicino, ha telefonato a Giuseppina per chiederle di far sparire la macchina. Non sapremo mai se Giuseppina l’avrebbe fatto. Di sicuro, Giovanni ha pensato che potesse esserne capace. Ora da Giuseppina vorremmo solo sentire quella frase. Forte, chiara: ”Mio marito è un assassino”. Perchè è mostro anche chi dal mostro non prende le distanze. Pure se gli ha stirato le camicie fino al giorno prima. di Selvaggia Lucarelli