Doppio disastro
Prima scoppia la bomba. Poi inquinano tutto
Nelle prime immagini girate in presa diretta da cronisti improvvisati arrivati davanti alla scuola di Brindisi quando ancora i feriti erano a terra si coglie un uomo in borghese che raccoglie un frammento difficile da identificare. Un pezzo delle bombole Gpl appena esplose? Un oggetto bruciato da quelle fiammate? Un pezzo del timer che ha innescato la rudimentale bomba per l’attentato? O il telecomando che è stato solo ipotizzato ma non trovato dagli inquirenti? La risposta non c’è. Ma quelle immagini dicono un’ovvietà: la scena dell’attentato è stata gravemente inquinata. Al momento in cui sono arrivati lì i reparti specializzati di Sco, Ros e Ris sul luogo dell’attentato erano passate centinaia di persone. Inevitabile, certo: la strage è avvenuta davanti a una scuola, e tutti si sono precipitati per cercare di dare una mano, chiamare i soccorsi, aiutare i feriti. Le prime forze di polizia accorse sono state quelle della polizia municipale, e anche loro hanno fatto quel che hanno potuto. Poi personale della scuola, genitori, altri alunni, commercianti della zona, curiosi, ambulanze, poliziotti, carabinieri, finanzieri, vigili del fuoco. Tutto nella più assoluta confusione. Tutti correvano, si agitavano, urlavano. Se fosse stato a pochi passi da lì l’attentatore, avrebbe potuto portare via in mezzo al caos un reperto fondamentale per le indagini (un pezzo di bombola con un dato di identificazione, l’eventuale telecomando…) e nessuno se ne sarebbe accorto. La scena della strage è stata certamente inquinata e per questo le indagini sono difficili e chi le coordina è costretto a non seguire alcuna pista preferenziale. Si fosse trovato il telecomando almeno un indizio ci sarebbe stato: chi ha costruito l’ordigno e l’ha fatto esplodere, non voleva compiere una strage qualsiasi, ma colpire proprio quelle ragazzine che passavano in quel momento. Ma il telecomando è stato ipotizzato, non trovato e nemmeno questa pista è certa. C’è dunque un inquinamento tecnico che rende assai difficili le indagini. Ma ieri non è stato l’unico. A inquinare si sono messi da una parte amministratori, politici e membri dell’esecutivo che dal primo mattino hanno voluto dire la loro a raffica senza avere il minimo riscontro cui appigliarsi. Qualche pasticcio ha fatto lo stesso neosindaco di Brindisi, Mimmo Consales, il primo ad avere offerto ai media la chiave mafiosa dell’attentato, puntando sulla scuola intitolata a Francesca Morvillo Falcone e sulla carovana della Legalità di don Luigi Ciotti che proprio ieri avrebbe dovuto passare da Brindisi. Sull’ipotesi si sono tuffati a capofitto i leader nazionali e locali che quella pista avrebbero seguito in qualsiasi attentato, iniziando dal Pd Valter Veltroni che ieri ha dichiarato di ora in ora in un crescendo rossiniano. Consales ha imboccato la pista alle 9 e mezza del mattino, alle 10 e mezza l’ha rafforzata con altre dichiarazioni, nel mezzo del pomeriggio ha spiegato che comunque non poteva essere stata la Sacra Corona Unita, a sera ha pure giurato di non avere mai creduto alla pista mafiosa e di non avere mai dichiarato nulla. Mancava solo negasse di chiamarsi Consales. La raffica di dichiarazioni iniziali hanno irrobustito la pista dell’attentato all’antimafia, che sembrava cara a chi la proponeva ossessivamente. Poi è iniziata la consueta e sempre più fatidiosa girandola delle dichiarazioni, che ha coinvolto leader nazionali, istituzioni, candidati sindaci in gara oggi per il ballottaggio e che avevano l’obbligo del silenzio elettorale. Non vale la pena nemmeno citarli: ognuno ha cercato di ritagliarsi uno strapuntino al sole nel giorno della tragedia. È risorta dichiarando qualcosina perfino Rosi Mauro, che sembrava essere scomparsa. Qualcuno le ha sparate più grosse pensando così di emergere dalla lava indistinta delle indignazioni e delle supposizioni. Come Beppe Grillo, che è partito con un «cui prodest», poi si è accorto di avere fatto la stessa dichiarazione di Roberto Calderoli, e così l’ha sparata ancora più grossa. Hanno inquinato l’inizio delle indagini anche quelle dichiarazioni, che certo non hanno aiutato gli inquirenti in un lavoro più che difficile. Dal primo pomeriggio stesso teatrino degli inquirenti. A Brindisi sono volati tutti quel che potevano: procuratori, capi e vice della polizia, alti gradi degli altri corpi. Nessuno è stato zitto, spesso dicendo cose diverse fra loro. Mentre in mezza Italia una raffica di magistrati offriva spunti - del tutto di fantasia - interpretativi di quel che era accaduto a Brindisi senza saperne un fico secco. Sulle indagini sono intervenuti, in ordine temporale: il prefetto Francesco Cirillo, vicecapo di polizia, il ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri, quello della Giustizia, Paola Severino, il Sap, il presidente della Corte di Appello di Milano, Giovanni Canzio, il procuratore di Termini Imerese Alfredo Morvillo, fratello di Francesca alla cui memoria era intitolata la scuola, il capo della polizia Antonio Manganelli (che ha escluso la pista «passionale»), il procuratore di Brindisi Marco Dinapoli, il procuratore di Lecce, Cataldo Motta, il presidente del Tribunale di Milano, Livia Pomodoro, il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, il procuratore capo di Terni, Fausto Cardella, il presidente del Copasir Massimo D’Alema (come investigatore), il magistrato esperto di terrorismo, Stefano D’Ambruoso, e mille altri. «È la mafia». «Non è la mafia». «Sono i terroristi», «Non sono terroristi», «È la Sacra corona unita», «Non può essere la Sacra corona unita». Un gigantesco inquinamento verbale delle indagini. Quali sono allora le piste che si seguono? In questa condizione un po’ tutte. Presa in considerazione, con un certo peso, quella del gesto di un Breivik italiano: un lupo solitario, folle, non importa se terrorista o mafioso, che abbia organizzato tutto da solo. Si è ipotizzato che fosse la Sacra corona unita, decisa a punire per qualche sgarro alcune famiglie di Mesagne (le ragazze ferite venivano da quel paese, una sorta di Corleone della Scu). Ma gli inquirenti ci credono poco: la vendetta sarebbe avvenuta a Mesagne stessa, non a Brindisi, per di più incrociando tutte quelle coincidenze: la scuola intitolata alla moglie di Falcone, la manifestazione anti-mafia. Difficile. È la mafia vera? No. Non celebra anniversari, e l’attentato lo avrebbe fatto in Sicilia. È terrorismo politico? Forse. Il gesto non ha precedenti. Ma se è terrorismo bisogna solo aspettare: magari facendo passare qualche giorno qualcuno rivendicherà. Potrebbe trattarsi di qualche cellula anarcoide, o forse addirittura di terroristi greci, visto che Brindisi è lo sbarco naturale da quelle coste. Ma la pista del lupo solitario sembra più forte delle altre. Per seguire quella come altre, bisognerà però aspettare i responsi del Ris: forse le bombole di Gpl sono identificabili, si riesce a trovare chi le ha vendute. Forse sul timer qualche traccia simile è seguibile. Se tutti stanno zitti e la smettono di raccontare una pista o un’altra, il colpevole si può trovare. di Franco Bechis