Mughini saluta Alex
Del Piero, l'uomo che visse tre volte
Alex Del Piero, l’eroe per antonomasia degli ultimi 19 anni di storia juventina, è arrivato alla penultima stazione del suo leggendario viaggio in bianconero. Oggi la partita di chiusura del torneo di serie A che ha assegnato alla Juve il suo trentesimo scudetto. Domenica prossima la sfida di Coppa Italia contro il Napoli, e speriamo che sia un “duplete”. Lo aveva deciso e annunciato da tempo Andrea Agnelli, il gran comandante della Juve. Il fatto che Agnelli sia un uomo d’onore non toglie che il 99 per cento di noi juventini sia allibito all’idea che si chiuda la storia in bianconero di quell’uomo con il numero 10 sulle spalle, e mentre lui continuerà a giocare al football da qualche parte nel mondo. Non sembrava possibile, così come non era stato possibile per Giampiero Boniperti o Michel Platini o per Paolo Maldini, a dire di un eroe milanista. Impossibile che Alex non desse per l’ultima volta un calcio al pallone con addosso la maglia di cui ho detto e la fascia di capitano della Juve. Come si fa a togliere il Colosseo a Roma o la Tour Eiffel a Parigi? Eppure sta avvenendo. Arrivederci, Alex. UN CAPOLAVORO Era arrivato nella sede di Corso Galileo Ferraris a 19 anni, nel 1993. Il suo acquisto, e benché anche il Milan gli avesse messo gli occhi addosso, fu l’ultimo capolavoro di Giampiero Boniperti da guida tecnica della Juve. Il suo primo e entusiasmante gol in bianconero Alex lo segnò a poche settimane dall’esordio in serie A, un colpo di destro al volo che si curvò in aria a superare il portiere della Fiorentina e a dare il 3-2 finale in una partita che aveva visto la Juve soccombere per 0-2. Con quelle caratteristiche di attaccante che trattava la palla come un Dio e che la metteva dentro con grande agevolezza, Del Piero rubò il ruolo e il posto a un idolo del calcio italiano ed ex Pallone d’Oro, Roberto Baggio, che la Juve cedette l’anno dopo. Da quel momento e per 17 anni ciò che pertiene al numero 10 in campo è appartenuto di diritto ad Alex, a parte l’anno del terribile infortunio. 703 presenze con la maglia bianconera, 289 gol. Poteva fare tutto con la palla. Quei primi gol in Champions. Ricevere la palla da lontano, domarla al volo di destro e continuare il movimento in modo da tagliar fuori il difensore che aveva di fronte, e poi colpirla ancora di destro in modo da farla girare e risultare umanamente irraggiungibile da un portiere che pure s’era arrampicato lassù in alto dalle parti dell’incrocio dei pali. E il colpo secco, da biliardo, che diede alla Juve la vittoria nella seconda Intercontinentale vinta nella sua storia. E il gol che fece al Napoli, dopo un lungo digiuno al rientro del suo infortunio - ed era la domenica in cui suo padre era appena morto -, quando zigzagando sfrantumò la difesa napoletana per poi fulminare il portiere con un colpo sotto. E il gol in nazionale nella semifinale della Coppa del Mondo 2006, ancora una volta un colpo da prestidigitatore, il gol del 2-0 che fece da ko contro la Germania. E il tiro su punizione, alcune domeniche fa, che da solo contrassegna la storia dell’ultimo scudetto juventino. Mancavano pochi minuti alla fine e restavamo bloccati sull’1-1 contro la Lazio, pur in una partita in cui li avevamo maciullati. Un po’ la bravura del loro portiere, un po’ l’imprecisione dell’ultima mossa dei nostri attaccanti, fatto è che il muro laziale sembrava invalicabile. Calcio di punizione a nostro favore al 36°. Tira Pirlo o tira Alex? I laziali stanno facendo muro, a un tratto si spostano verso sinistra lasciando aperto uno spiraglio alla loro destra. Fulmineo, Alex manda la palla a imboccare quello spiraglio. 2-1, scudetto immensamente più vicino. Ma come si fa a dire arrivederci a un tale prodigio? UN PAIO DI ERRORI Badate, vi sta parlando uno che su Del Piero ha pensato e scritto un paio di sciocchezze memorabili. Quando Alex tornò dall’infortunio e per mesi e mesi la palla non la metteva dentro, da gran babbeo pensai che il suo destino di “puntero” fosse finito. Era successo a tanti giocatori che un tempo erano stati implacabili in area e che nella seconda parte della loro carriera retrocedettero a occupare una zona del campo da cui ragionavano e costruivano. Era successo a Boniperti e a Sandro Mazzola. Lo dissi una volta in tv, ad alta voce, che Del Piero doveva fare lo stesso, che con il gol aveva perduto confidenza e questo perché non aveva più il tempo e lo scatto bruciante di una volta. Dopo quella mia stratosferica sciocchezza, che credo Alex non mi abbia più perdonato, il numero 10 bianconero di gol ne avrà fatti un centinaio o forse più. Di sinistro e di destro, in tutti i modi. È il terzo goleadeor nella storia del calcio italiano, dopo Silvio Piola e Peppin Meazza, che però giocavano un calcio dove si facevano sei-sette gol a partita. Sì, credo che Alex non me lo abbia perdonato. Perché in fatto di orgoglio e sicurezza di sé non ha rivali. Senza quell’orgoglio e quella sicurezza di sé non avrebbe subito senza danni la “cura” Capello, quando il mister della Juve lo sostituiva una volta sì e l’altra pure, preferendogli la coppia d’attacco Trézéguet-Ibrahimovic. Senza quell’orgoglio Alex non sarebbe andato in B a galoppare su campetti di provincia, lui che era stato più volte fra i primi cinque nella classifica dei migliori calciatori europei. Senza quell’orgoglio non avrebbe sopportato senza un ghigno e una parola fuori posto di essere messo un tantino in disparte in quest’ultimo torneo, né le parole di un Agnelli che ne annunciava il congedo. E a questo proposito io mi auguro che l’unica ragione portante di quell’annuncio sia l’arrivo in bianconero di Giovinco, un campione che arremba nella stessa zona di campo propizia ad Alex. Le generazioni si succedono, inevitabile. I campioni si passano il testimone, inevitabile. Grazie, Alex. In noi e con noi ci sarai sempre. di Giampiero Mughini