Lo sfogo
"Noi non siamo i più coglioni"Il Cav vuole affondare Monti
«Deve togliersi dalla testa che a noi vada tutto bene. Che siamo noi i più coglioni della compagnia». Il soggetto a cui si riferisce Silvio Berlusconi può essere, alternativamente, Mario Monti o Giorgio Napolitano. Più il secondo che il primo, visto che il Quirinale è ritenuto molto più sensibile, per formazione ed esperienza, alla comprensione dei travagli politici (e non) attraversati in casa Pdl. Ed è al presidente della Repubblica che il Cavaliere parla quando lascia intravedere un sostegno «meno convinto» al governo, con la formula dell’“appoggio tecnico”. L'idea degli azzurri - L’appoggio esterno è una categoria impropriamente detta, in questa fase di interregno non politico: tutti i partiti sono in “appoggio esterno”, in quanto non hanno rappresentanza che sieda in consiglio dei ministri. Ma gli azzurri potrebbero fare un ulteriore passo indietro: non più scontato il voto dei gruppi parlamentari pidiellini ai provvedimenti del governo, ma da “guadagnare” di volta in volta a seconda del gradimento sulle misure adottate dai tecnici. Il sottotesto è: basta con l’utilizzo della fiducia, viatico adorato dai professori perché ha permesso finora di somministrare ai partiti, in un solo sorso, papponi legislativi altrimenti indigesti per chi fa politica tra la gente, a rischio di sputi e insulti. Fase di ingovernabilità? - Il rischio? È che l’esecutivo vada incontro, senza la certezza dei voti del gruppo di maggioranza relativa, a una fase di ingovernabilità, anticamera del voto anticipato. E qui non siamo più alle minacce agitate come spauracchio elettorale per tirare su qualche migliaio di voti. No. Tanto che Pier Ferdinando Casini, il più avveduto della truppa, ha fiutato la situazione e si è prenotato un incontro chiarificatore con Berlusconi e Alfano, quando il Cavaliere rientrerà dalla Russia (partenza oggi per la cerimonia di insediamento al Cremlino di Vladimir Putin). Assalto delle procure - Cosa c’è? Cosa agita il Pdl? Le troppe tasse del governo, il ceto sociale di riferimento vessato dalla crisi, l’Iva, l’Imu: tutto vero. Ma c’è un altro motivo di sofferenza, che tocca più personalmente l’ex presidente del Consiglio. «Credevo che facendomi da parte sarebbe finita la persecuzione giudiziaria nei miei confronti», ripete spesso il Cavaliere. Ma s’era illuso. La realtà con cui sta prendendo dimestichezza è che «c’è un fiorire di inchieste su di me nelle procure di mezza Italia». E passi, è abituato. Ciò che Silvio non può più tollerare è la quotidiana violazione della sua privacy (sua e delle ragazze coinvolte nell’inchiesta Ruby) mediante la pubblicazione «da parte di Repubblica.it dei sonori delle telefonate, che poi finiscono su tutti gli altri giornali». Berlusconi è arrivato al limite della sopportazione, tanto da meditare gesti clamorosi. L’unica arma che gli è rimasta in mano è la spina del governo. D’accordo «la responsabilità» e «il momento di crisi economica», ma se gliele continuano a far girare, la stacca e buonanotte a tutti. Tela da tessere - Da qui al gesto plateale, però, c’è tutta una tela politica ancora da tessere. Facilitata dal fatto che la controparte ha già calato le carte. Si sa cosa vuole l’ex premier per tranquillizzarsi. Vuole una legge che, anche senza eliminare lo strumento investigativo delle intercettazioni (tanto lui, scottato dall’esperienza, non possiede più il cellulare), eviti che le conversazioni finiscano pubblicate sui giornali. E magari - visto che si rinnovano le Authority - anche la possibità di avere un Garante della privacy che non sia «politicamente ostile» al centrodestra. Dopodiché, sulla politica fiscale del governo, Silvio è anche disponibile a venire incontro, come ha fatto finora. di Salvatore Dama