A uso e consumo
Napolitano e Monti si fregano il 25 aprile
Serviva una lezione di storia, è arrivata una lezione di politologia. O meglio, una lezione su come approfittare del passato per preparare il futuro. Giorgio Napolitano e Mario Monti si sono fregati il 25 aprile perché al posto di Liberazione, partigiani e nazifascismo hanno preferito parlare di crisi economica, antipolitica, Casta. Financo di Beppe Grillo, manco il capopopolo genovese fosse un novello Fuhrer. Napolitano e l'antipolitica - Fa effetto, in questo senso, il discorso del presidente della Repubblica, che la guerra di Liberazione l'ha vissuta sulla sua pelle (uno dei pochissimi politici testimoni oculari di quel drammatico periodo): da Pesaro, per le celebrazioni ufficiali, Napolitano ha detto no al voto anticipato ("Ci si impegni per arrivare alla fine della legislatura"), servendo un assist al premier Monti (non per caso, quello dei professori è stato definito in tempi non sospetti il "governo del presidente") e soprattutto si è messo al fianco dei partiti, come baluardo contro gli anti-Casta: "Non bisogna abbandonarsi a una cieca sfiducia nei partiti come se nessun rinnovamento fosse possibile, e senza finire per dar fiato a qualche demagogo di turno". Parole di circostanza? Nient'affatto, perché innanzitutto il 25 aprile e il 1945 diventa un semplice dettaglio, fa da sfondo. Secondo: il bersaglio, chiarissimo, è Beppe Grillo. Uno che, piaccia o meno, sarà candidato alle amministrative e svolgerà un ruolo importante anche nel 2013, alle politiche. Insomma, un intervento a piedi uniti in piena campagna elettorale. Monti e la storia - Particolare anche l'interpretazione che ha dato Monti al suo discorso sul 25 aprile, al Museo della Liberazione di Roma. Il 1945 viene riletto alla luce della crisi attuale, perché il comportamento comune deve essere lo "spirito di sacrificio". "Rigenerare l’esperienza della Liberazione per fare fronte ai gravi sacrifici che la situazione economica e sociale dell’Italia richiede", ammonisce il Prof riferendosi a una crisi dalla quale si potrà uscire solo se, ha spiegato, tutti, "forze produttive, politiche, economiche e sociali, lavoreremo nell’interesse del Paese del bene comune". E a chi ricorda che nel 1945 ci furono centinaia, migliaia di morti, Monti sembra rispondere che quello di oggi è un nemico meno sanguinario ma più subdolo, perché annidato in "alcuni modi di pensare e di vivere: il frutto amaro di un sistema politico che ci ha illuso per molto tempo di poter vivere al di sopra dei nostri mezzi e che impedivano al Paese di proiettarsi nel futuro. Sui muri di questo museo - ha aggiunto Monti - c'è l’evidenza di un’esperienza drammatica di tanti giovani che hanno contribuito, con le loro sofferenze, a liberare il Paese. Oggi ciò che viene richiesto a ciascuno è meno grave, meno drammatico, ma richiede la stessa complessità corale di impegno". La via d'uscita è una sola: rigore e unità di tutte le forze del Paese, le parole d'ordine di tutta una politica di governo che però, per ora, non è andata oltre alla tassazione selvaggia.